Una buona soluzione, ma non per tutti

Le testimonianze di lavoratrici e lavoratori che hanno trasferito l'ufficio in casa

«Prima dell’emergenza Covid-19 la possibilità di lavorare da casa era molto remota. Passata l’epidemia, invece, diventerà realtà. Questo perché il virus ci ha obbligati ad utilizzare quella che prima era solo una facoltà malvista, che si è in concreto rilevata una valida alternativa». Giacomo lavora in un ufficio di Lugano e, come molti di noi, da qualche giorno è in modalità telelavoro. Una situazione impensabile fino all’arrivo del virus che ci ha costretto a cambiare le nostre abitudini. Una situazione molto ardua per tutti, ma che potrebbe portare anche a delle svolte positive.


Svolte personali, ma anche professionali. E tra queste potrebbe esserci quella di un maggiore utilizzo del telelavoro. Un’opportunità a prima vista interessante. Di questo avviso sono diverse persone con cui abbiamo parlato in questi giorni, le quali di colpo si sono ritrovate a creare uffici casalinghi e a riattivare l’account Skype. Per molti il telelavoro era un concetto lontano: «La mia azienda si vuole all’avanguardia e dispone di tutti gli strumenti tecnici e di regolamento per potere svolgere il lavoro da casa. Tuttavia qui in Ticino nessuno ha mai osato farne richiesta. Su questi aspetti siamo in ritardo rispetto al resto della Svizzera. In ogni caso non è ben visto dal nostro responsabile del centro ticinese» ci spiega sempre Giacomo. Poi ecco che arriva il coronavirus che impone il cambiamento. Come è andata, chiediamo: «Direi piuttosto bene, salvo un po’ di lentezza dell’impianto informatico e la mancanza di alcuni strumenti come le stampanti. Di positivo c’è la possibilità di organizzare il tempo di lavoro come meglio si crede, lavorando per esempio dalle 14 alle 23, e di risparmiare il tempo del tragitto casa-lavoro e di avere meno distrazioni. A conti fatti impiego molto meno nell’evadere le mie incombenze».


Anche Gisella condivide l’entusiasmo: «Sono da sempre una fan del telelavoro in quanto da casa penso di lavorare meglio e posso gestire nel migliore dei modi il mio tempo» ci racconta questa giovane donna, impiegata in un ufficio del Sottoceneri. Anche a lei abbiamo chiesto come sta andando con l’homeworking: «Il mio datore di lavoro resta un po’ scettico perché dice che lavorando da casa si perde lo spirito di gruppo; in realtà la situazione sta unendo molto noi colleghi. Ci sentiamo tutti i giorni al telefono, anche solo per fare due chiacchiere e, pur non vedendoci, ci si sente quasi più uniti dato che tutti viviamo la stessa situazione di rischio».
Andrea, impiegato in una ditta attiva nel settore industriale del Sopraceneri, sta partendo per un giro in bicicletta. Di solito a quest’ora è al lavoro: «Ne approfitto adesso e poi lavorerò fino a tardi la sera». Andrea è anch’egli entusiasta di questa possibilità: «Il telelavoro ti permette di gestire al meglio necessità private e lavorative, dedicando la massima attenzione al lavoro che si sta svolgendo senza avere distrazioni dovute a interruzioni tipiche del lavoro in ufficio». In fin dei conti, anche se ora lo vediamo in bici, Andrea dice che lavorando da casa «le ore dedicate al lavoro sono sempre di più di quelle richieste, e purtroppo non vengono riconosciute, in quanto il lavoro fuori casa viene conteggiato come giornata lavorativa standard».


Non tutti, però, condividono l’entusiasmo. Noemi, mamma di due bambine piccole, è favorevole a questa modalità. Il problema è che nell’attuale contesto occorre occuparsi anche dei figli, ciò che non è tenuto in conto dal datore di lavoro, una società di Lugano: «Per me è impossibile fare 8,30 ore al giorno. Eppure mi è stato detto che non è un problema loro se ho i figli piccoli che hanno bisogno d’attenzione. Per questo mi è stato chiesto di smaltire le mie ore supplementari o, alla peggio, di prendere queste ore sulle vacanze». Proposte alternative? «Lavorare quando i bimbi sono a letto, la sera o di notte». Eccola quindi, la faccia nascosta del telelavoro.

Pubblicato il

30.03.2020 13:30
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