«Nessuno mette in dubbio la legalità dei controlli di polizia nei confronti di cittadini sospettati di un reato. Trovo discutibile farli senza che ci sia questo presupposto; fare cioè dei controlli a tappeto, sistematici, che criminalizzano un’intera comunità. E che indicano, come in questo caso, il colore della pelle quale elemento di sospetto». L’avvocata e consigliera comunale di Paradiso Rosemarie Weibel già un anno fa aveva sollevato in Consiglio comunale interrogativi sulla correttezza delle operazioni di polizia che avevano preso di mira la comunità degli africani, sospettata di essere il canale principale dello spaccio di droga nel Luganese. Come si ricorderà, a partire dal giugno 2002, l’Operazione “Caldo” portò ad una serie di controlli sistematici soprattutto nei vari centri per richiedenti l’asilo della Croce Rossa, ubicati nel Luganese. Dopo vari blitz – molti dei quali effettuati nel corso dell’estate 2002 – la polizia dichiarò che le perquisizioni e i costanti pedinamenti avevano scoraggiato i “manovali” dello spaccio. Manovalanza appunto, pesci piccoli faceva notare il quotidiano Gdp (8 agosto 2002) che permettono ai detentori del mercato della droga di nascondersi in tutta tranquillità. E già allora, lo stesso quotidiano, commentava come l’equazione: “spaccio di cocaina in Ticino = cittadini africani quasi sempre richiedenti l’asilo” poteva far dimenticare il contesto in cui quest’equazione si andava sviluppando. Un contesto in cui “menti” del crimine possono allontanare i sospetti dalla loro persona per convogliarli su soggetti facilmente identificabili e ricambiabili. Non c’è il rischio, si chiedeva allora l’avvocata Weibel, che queste azioni di monitoraggio covino risvolti discriminatori? Per questo motivo la consigliera comunale ha deciso di presentare in questi giorni una seconda interrogazione sul tema. Lo spunto viene dal consuntivo 2002 di Paradiso dove si spiega che gli agenti del comune «…hanno collaborato in modo attivo con la polizia cantonale e comunale di Lugano nell’operazione denominata “Caldo”, che riguardava cittadini di colore che spacciavano nella vicina Lugano». No, Rosemarie Weibel non vorrebbe che Paradiso fosse considerato “il caso”: «Paradiso è solo “un” caso emblematico di una situazione che riguarda tutto il Cantone. Qui la popolazione locale si era lamentata di episodi di delinquenza e aveva chiesto provvedimenti. Richieste legittime queste, sennonché le istituzioni hanno risposto con misure discutibili». Sulla questione Ermete Gauro, delegato cantonale per l’integrazione e la lotta contro il razzismo, invita alla prudenza. I “se”, sottolinea, di fronte ad una mancanza di prove certe sono d’obbligo. «È importante sempre verificare (e questo fa parte della mia funzione) – spiega ad area il delegato – se vi siano o meno elementi che lascino propendere per un atteggiamento pregiudiziale nei confronti di particolari gruppi di stranieri. Nel caso specifico, se l’Operazione “Caldo” della Polizia cantonale e le altre polizie comunali del Luganese si fosse ufficialmente caratterizzata come operazione indirizzata ai cittadini di colore, sarà nostra premura attivarci per contestarla». E aggiunge: «È come se, nell’ambito delle operazioni di polizia contro la coltivazione della canapa, si specificasse che s’intende perseguire i cittadini biondi con occhi azzurri che coltivano la canapa… Lo spaccio della droga è un problema ma non è un problema che caratterizza i cittadini di colore e non tutti i cittadini di colore sono spacciatori di droga». Ma il portavoce della Polizia cantonale Giovanni Dadò ribatte: «Nessun accanimento contro le persone di colore. La polizia ha dovuto concentrare le sue indagini laddove partivano i focolai dello spaccio. Certo, l’Operazione “Caldo” riguarda in particolare persone di colore implicate in attività di spaccio e di riciclaggio di denaro; questo però non significa che la polizia non indaghi anche in altri ambiti. L’indagine in questione fa parte di un pacchetto di interventi che si diramano in diverse direzioni. È un segmento di una rete che, con tutta una serie di operazioni, tentiamo di smantellare». Riguardo al dubbio di un’azione discriminatoria, il sergente Dadò replica: «Dipende da come la faccenda viene vista. Il nostro intento era unicamente quello di debellare un fenomeno di criminalità. Riguardo le misure di identificazione di persone poi risultate estranee posso dire che, nel rispetto della Legge sulla polizia, vengono distrutte a conclusione dell’indagine». «Certo di primo acchito – commenta Gauro – sapere dell’operazione “Caldo che riguardava cittadini di colore che spacciavano nella vicina Lugano” porta a chiedersi: cosa significa? Che i ticinesi che spacciano non rientrano nell’interesse dell’operazione? L’operazione in sé contro lo spaccio di droga è lecita e giustificata, visto che ci sono i presupposti, ma non è giustificabile dire che la si fa contro persone di colore o di pelle bianca. Nessuno nega che ci siano situazioni di disagio. Quello che è grave è che così facendo si identifica un certo tipo di delinquenza con una precisa etnia o comunità. In più si lascia intendere che siano loro gli unici responsabili di una determinata situazione. Il che non è vero». Secondo il delegato è importante non perdere mai di vista il contesto, per evitare che si faccia di tutta l’erba un fascio… «Stiamo lavorando proprio per scardinare il pregiudizio, per sensibilizzare la popolazione a non scivolare in atteggiamenti razzisti e discriminatori. Ma per far questo è importante che organi istituzionali diano l’esempio e non incorrano loro stessi in comportamenti o espressioni discriminatori, e quindi inaccettabili». Insomma, le parole sono pietre. Da usare sempre con cautela. Per la Consigliera comunale Rosemarie Weibel, invece, tutta l’operazione sembra soffrire di un vizio di forma congenito. Insomma, il clima di sospetto nei confronti di un gruppo specifico di persone può sfociare nel razzismo e soprattutto in un momento in cui gli animi sono già stati riscaldati da un diffuso allarmismo antistraniero. Non solo. Il problema va al di là del monitoraggio delle persone di colore. «L’operazione “Caldo” è uno dei tanti segnali di un’accettazione dello scavalcamento delle libertà del singolo cittadino sancite dallo Stato di diritto in nome della tutela di un bene più alto». Un tendenza che, a suo parere, nasconde insidie di non poco conto. «La mia preoccupazione – conclude l’avvocata Weibel – è che oggi si prendano di mira le persone di colore, mentre un domani, seguendo questo criterio, si potranno controllare tutti coloro che hanno espresso determinate idee adducendo quale giustificazione il sospetto che possano compiere qualcosa d’illegale. E così via di seguito. Insomma, il timore è che queste operazioni permettano l’ignoranza di regole di uno Stato di diritto che garantisce le libertà personali di un cittadino».

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16.05.03

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