Italia

Il “governo del fare” ha prodotto il “decreto del fare”, si chiama proprio così. Secondo la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, ci vorrà un po' di tempo prima di esprimere un giudizio di merito sulle ricette dell'esecutivo per far ripartire l'Italia, schiacciata da una crisi che non accenna a finire. Del resto, guai ad assumere posizioni pregiudizialmente negative su un governo sostenuto da (quasi) tutto l'arco costituzionale, e chi non lo sostiene, come Sel e soprattutto il Movimento 5 stelle, si mette automaticamente al di fuori delle dinamiche politiche. Così come la metà dei cittadini e delle cittadine che ha smesso di votare e quindi ha perso, insieme al diritto di parola, il diritto a essere rappresentata politicamente.


Ha ragione chi ha perso di meno, ci spiegano, visto che tutti hanno perso voti; il Pd è contento di essere arrivato primo dentro urne semideserte, in un trend di americanizzazione della “democrazia” e può continuare a governare insieme a un Berlusconi resuscitato, nonostante gli schiaffi presi nell'urna. Il nuovo segretario del Pd, che è l'ex segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, è schiacciato dentro una rissa che sta frantumando quel che resta del Partito democratico. Nega che a guidare la barca sia Berlusconi, nonostante la prima mossa del governo sia stata la messa in opera della parola d'ordine del Pdl: abolire l'Imu sulla prima casa, per tutti.


Ci sarà tempo dopo per salvare il lavoro e il reddito di milioni di famiglie, intanto riduciamo le tasse alle barche tra i 14 e i 20 metri di lunghezza (è nel decreto del fare) e avviamo le semplificazioni, anche in ordine agli infortuni sul lavoro (idem, decreto del fare). Si tratta di scelte che aggravano le ingiustizie sociali facendo crescere la forbice tra ricchi e poveri. Togliere la tassa sulla prima casa ai ricchi, oltre che ingiusto in sé, sottrae risorse agli enti locali che si trovano costretti a tagliare ulteriormente i servizi e a privatizzare i beni comuni. Il welfare italiano è agli sgoccioli.


Esplode la povertà. A quella vecchia se ne aggiunge di nuova, c'è un milione di disoccupati in più che si affianca al 40 per cento di disoccupazione giovanile. Nuovi poveri sono i lavoratori dipendenti, e un esercito di cassintegrati a cui stanno per terminare gli ammortizzatori sociali. Crescono le code davanti ai centri della Caritas che distribuiscono un pasto caldo, diminuiscono le persone in grado di accedere alle cure mediche e si sta esaurendo il più forte degli ammortizzatori sociali: gli anziani, con una pensione bloccata dai governi precedenti, non riescono più ad aiutare figli e nipoti senza lavoro né reddito.
Adesso anche gli economisti che con passione hanno sostenuto la riforma Fornero sulle pensioni per allungare la vita lavorativa scoprono, illuminati dallo spirito santo, che in questo modo per i giovani è diventato ancora più difficile affacciarsi sul mondo del lavoro.


Chiudono a raffica le piccole e medie imprese e migliaia di esercizi, le multinazionali vanno all'estero a investire e continuano a esportare capitali in lontani e vicinissimi paradisi. Secondo i calcoli più ottimistici sono almeno 120 i miliardi sottratti al fisco, ma il governo Letta mette al centro la riforma della Costituzione, quando sarebbe arrivato il tempo di applicarla, come sostengono giuristi come Rodotà e Zagrebelsky.
Crescono i suicidi tra i poveracci e nel ceto medio impoverito e incattivito. Disperazione e rabbia aumentano il solco tra popolazione e politica, e neanche più Grillo, ossessionato dalla lotta contro i dissenzienti e incapace di mettere a frutto il consenso piovutogli addosso, riesce più frenare la fuga dalle urne.


Insomma, l'Italia è un paese che comincia ad assomigliare alla Grecia, ma a differenza della Grecia non ha una sinistra capace di agire, attrarre, rappresentare, trasformare la rabbia in lotta per il cambiamento. Così cresce la guerra tra poveri e passa lo scambio tra diritti e lavoro, come insegna il caso Ilva: in questo disastro, in cambio del lavoro si può anche accettare di beccarsi un tumore e di avvelenare il territorio. Si può anche rinunciare al diritto di sciopero, a votare gli accordi e i contratti, a eleggere i propri rappresentanti. Troppo spesso la Fiom si trova da sola, con il sostegno popolare e di parte della borghesia illuminata ma senza quello della politica, a combattere una battaglia fondamentale per la democrazia e la difesa della Costituzione.

 

Pubblicato il 

20.06.13

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