Un litro di Coca Cola non vale un litro di benzina

La rivolta dei “gilets jaunes” è rivolta che ha grande presa anche dalle nostre parti, come conseguenza di «un peggioramento del disagio sociale, soprattutto per la diminuzione del reddito disponibile per buona parte della popolazione, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi» (scriveva l’ultimo Quaderno del Forum alternativo).

 

Quindi, qualsiasi scelta o qualsiasi omissione della “politica” che aggrava o ignora questa situazione è di per sé legittimo motivo di opposizione. Se poi carichi le economie domestiche di un balzello di cinque miliardi di costi di trasporti (anche se per motivi ecologici) e contemporaneamente proponi esoneri fiscali di sei miliardi sui patrimoni dei più ricchi (convinti che saranno investiti nell’economia), finisci nella più becera provocazione politica (metodo comunque in auge anche dalle nostre parti).


Mi ha però intrigato un interrogativo posto da qualcuno quasi fosse più un diversivo che un aspetto sostanziale della vicenda: un litro di benzina e un litro di Coca Cola hanno quasi lo stesso prezzo, ma hanno lo stesso valore economico? È certo che tutte le persone con un minimo di buon senso risponderanno di no. Non capendo, tuttavia, dove sta il senso dell’interrogativo. Tanto più che per il pensiero economico imperante il valore dei beni e dei servizi è dato dal loro prezzo e quindi il litro di benzina e il litro di Coca Cola hanno lo stesso valore economico.


Quel pensiero è però fondato su diversi atti di fede o credenze. Come credere, ad esempio, che il valore economico di un bene sia identificato solamente dal suo valore di scambio (il suo prezzo), cancellando in pratica gli aspetti di utilità o il valore d’uso. Ed è forse uno dei problemi più grossi della nostra società (avvertito dal buon Marx).

 

La rivolta dei “gilets jaunes” dimostra invece che un litro di benzina non ha per tutti noi lo stesso valore economico: avrà più valore per una persona con un reddito basso, che le permette a malapena di arrivare alla fine del mese, o anche per un non-cittadino per il quale l’uso dell’automobile rimane un mezzo necessario per poter conseguire un reddito.

 

Come credere, altro esempio, che in un mondo sempre più interdipendente, si possa continuare a pensare il valore economico di un bene solo in funzione del singolo individuo. Ciò che risulta infatti sempre più decisivo non è tanto che un individuo abbia dei bisogni, ma che degli uomini, tra loro strettamente legati, abbiano in comune dei bisogni dai quali dipende la loro vita. Quello che bisogna scoprire e definire è quindi anche il valore economico “societario” di un bene. In altre parole, bisogna tener conto del suo valore d’uso e del suo costo non solo per gli individui presi isolatamente, ma per tutta la società. Il costo di un litro di benzina, se teniamo conto degli effetti e delle conseguenze che ha su ambiente e salute di tutti gli uomini, non può essere il prezzo definito dal mercato.

 

Ed è qui che sta il problema. L’insurrezione dei “gilets jaunes”, partita da un caso concreto (tassazione della benzina per motivi ecologici), dimostra che il valore “societario” di un bene, che non è quello espresso dal mercato, potrà essere accettato solo se le diseguaglianze del potere d’acquisto saranno deboli e se le diverse parti in causa della società saranno chiamate a intervenire in misura proporzionale alla loro disponibilità di reddito e anche al loro uso di un bene (potremmo aggiungere che non è per niente fuorviante applicare gli stessi criteri ad altri beni non solo individuali ma “societari”, come la salute o, in concreto, i premi delle casse malati).

Pubblicato il

17.01.2019 14:06
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