Il commento

Espulsione di massa dei migranti: siete domiciliati qui e avete perso il lavoro? Sì, siete disoccupati, ma andate a richiedere le indennità al vostro paese. Alla Svizzera, paladina dei diritti umanitari, la parola espulsione piace assai, sembra averla scritta nel Dna. Il Ticino poi ne fa una malattia, non solo muri, dogane chiuse, ma anche espulsioni.
Detta a secco: non basta più avere lavorato in questo paese per anni, avere contribuito alla sua economia, avere pagato l’assicurazione contro la disoccupazione ogni mese e neppure possedere il domicilio. No, signori, queste sono quisquilie. Dovete possedere la residenza effettiva, mica il domicilio, per rivendicare il diritto alla disoccupazione. E che è la residenza effettiva? Quella che coincide con il vostro centro d’interessi.
Boh. Non preoccupatevi, il servizio giuridico della Sezione del lavoro vi convocherà per un’audizione al fine di verificare appunto il vostro centro d’interessi, ovvero dove sta veramente di casa il vostro mondo.


Sedetevi e mettetevi comodi. «Siete abbonati a un giornale locale?». No? Indizio di mancata integrazione con il territorio. Per questo, se può contare, neppure noi, che siamo giornalisti, siamo abbonati: leggiamo i quotidiani al bar ogni mattina.


Condividete la casa con due colleghi? È un’«abitazione precaria» che indica la volontà di non stabilirsi durevolmente nel cantone. Abitate da solo in un monolocale? Spiacenti, anche questa è un’abitazione precaria. Vostro figlio vive a mille chilometri da voi? «Credibile che vada a trovarlo ogni week end». Moglie a cento chilometri? «Non è credibile che non vada a trovarla». In tutti i casi citati le audizioni sono giunte alla conclusione che non è nel Cantone il centro d’interesse. Il che significa che neppure i parametri della residenza effettiva risultano soddisfatti, facendo cadere le basi legali previste dalla Ladi. Niente residenza, bye bye, torna da dove sei venuto e chiedi lì la disoccupazione.


A rischio di sembrare maliziosi, e lo siamo, le audizioni portano a conclusioni talmente incoerenti e contradditorie fra di loro, da fare pensare a un preciso disegno politico per ridurre il numero delle persone cui versare le indennità disoccupazione. Un bel risparmio per il Cantone, conveniamo. Un disastro per chi viene colpito dalla misura che rischia di finire sul lastrico.
Sulla base del proprio stipendio ognuno calcola il budget disponibile per affitto, scuole dei figli, acquisti. Se improvvisamente da 4.000 franchi ci si ritrova con 800 euro al mese (perché le indennità variano notevolmente dalla Svizzera ad altri stati Ue) non si riuscirà più a pagare le fatture con il rischio di un tracollo che rischia di portare in malora.


Non si sta chiedendo l’obolo di beneficenza, ma il rispetto della Ladi senza ricorrere a sotterfugi sulla pelle dei lavoratori.
Ora, non vogliamo pagare con i nostri soldi chi non ha acquisito il diritto perché anche noi siamo dei salariati e dalla nostra busta paga ci viene decurtata una percentuale per finanziare la Ladi. Gli abusi ci fanno, scusate se siamo diretti, schifo. Ma ci disgusta altrettanto che a una categoria di lavoratori venga negato il diritto di percepire ciò per cui ha pagato.
E non veniteci a dire che siamo il sindacato dei frontalieri. Per favore, non siate ridicoli. Per dirla tutta, anche ad alcuni svizzeri rimasti senza lavoro è stato negato il diritto alle indennità perché il loro centro d’interesse è stato definito in un altro paese. Esistono ticinesi che vivono al di là del confine, mentre a Ginevra il fenomeno è più marcato con tanti svizzeri che, per mero calcolo economico, prendono casa in Francia.
Si tratta semplicemente di difendere i diritti di tutti i lavoratori. È una questione di giustizia sociale.

Pubblicato il 

02.07.15
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