Soldi sporchi

Nel 2011, allo scoppio delle Primavere arabe, si è scoperto che la Svizzera era la cassaforte preferita dei cleptomani da poco destituiti. Il tunisino Ben Ali, l’egiziano Mubarak e vari dignitari libici del colonnello Gheddafi: tutti avevano i propri conti milionari nei forzieri elvetici. All’appello mancavano i denari di un altro despota coinvolto dalle sommosse popolari: Ahmed Ali Abdullah Saleh, allora presidente dello Yemen, uno degli Stati più poveri del mondo. Un Paese che, anche a seguito di quei moti partiti nell’inverno del 2011, è piombato in una terribile guerra civile che ha causato decine di migliaia di vittime e milioni di sfollati. Potevano forse non esserci i soldi del regime yemenita in Svizzera? Certo che no. È di qualche giorno fa la notizia – resa nota dal sito d’investigazione romando Gotham City – che proprio nel momento in cui nello Yemen scoppiava la rivoluzione, Ubs ha autorizzato dei misteriosi clienti yemeniti a trasferire 65 milioni di dollari verso una banca di Singapore.

 

L'informazione si basa su una recente sentenza del Tribunale federale. Un ricorso inoltrato da Ubs per un banale dettaglio procedurale ha permesso di scoprire la vicenda nella quale è implicata la principale banca svizzera. Come è stato possibile giustificare un tale trasferimento milionario in un momento in cui lo Yemen stava piombando nella guerra civile? La domanda chiama in causa l’istituto bancario. Dalla sentenza si deduce che tanto le autorità di perseguimento penale che quelle di vigilanza sui mercati finanziari hanno deciso di vederci più chiaro. Nel 2014, il Ministero pubblico della Confederazione (Mpc) aveva aperto una prima inchiesta contro l'ex presidente Saleh per sospetto riciclaggio di denaro. Tuttavia, l'indagine ha dovuto essere chiusa nell'ottobre dello stesso anno a causa di «questioni legali riguardanti la cooperazione con lo Yemen in materia penale». Una nuova indagine è stata poi aperta nel luglio 2017, sempre per riciclaggio e contro ignoti, in relazione a uomini al potere nello Stato della Penisola araba. Da parte sua, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (Finma), ha avviato una procedura contro Ubs per non aver segnalato questa transazione più che sospetta. Nel 2011, la stessa Finma aveva già punzecchiato tre banche colpevoli di aver violato la regolamentazione in materia di riciclaggio di denaro accettando gli averi dei potentati del Nord Africa. Oltre a non pubblicare i nomi degli istituti coinvolti – poi rivelati dalla stampa: Hsbc, Efg e Ubp – l’Autorità di vigilanza si era limitata a sanzioni risorie.

 

Nella sentenza si afferma che i 65 milioni di dollari sono stati trasferiti a Singapore «a favore di un membro della famiglia (del cliente) interessata», ma non viene rilevata l'identità delle persone. Il Tribunale federale indica però che i clienti sono stati inseriti nella blacklist tramite la risoluzione 2140 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Una misura che colpiva due comandanti hutu, Abd-al-Khaliq Al-Huthi et Abdullah Yahya Al-Hakim, così come l’ex presidente Saleh che, dopo aver lasciato il potere nel 2012, è stato ucciso dai ribelli nel 2017. Che il denaro in questione fosse legato al clan Saleh lo si deve al fatto che per il Gruppo d’esperti Onu sullo Yemen, l’ex presidente si distingue – al contrario dei comandanti ribelli – per «la sua agilità nell'usare accordi finanziari per riciclare le ricchezze saccheggiate nello Yemen». Per gli esperti la raffinatezza con cui l'ex uomo forte di Sana’a camuffava i suoi flussi di denaro richiedeva una maggiore vigilanza da parte dei governi e delle banche. Queste furono così avvertite che «per identificare il signor Saleh si sarebbe dovuto tener conto di una serie di fattori e applicare una serie sufficientemente ampia di criteri di controllo».

 

Se di tali criteri Ubs non ha tenuto conto lo diranno forse le indagini. Anche se, da quanto è emerso dalla citata sentenza del Tribunale federale, l’inchiesta penale non è certo partita col piede giusto. I giudici di Losanna hanno accolto la richiesta della banca di farsi restituire dei documenti che l’Mpc aveva richiesto, ritenendoli utili per capire il rapporto tra Ubs e i misteriosi clinti yemeniti. Il motivo additato dai giudici? Gli inquirenti federali hanno depositato la loro richiesta di messa sotto sigillo dei documenti con un giorno di ritardo…

 

Pubblicato il 

16.06.20
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