Ogni espressione volgare si può riformulare, se si vuole, in parole civili e accettabili. Ogni discorso da bar può essere tradotto in un enunciato provvisto di dignità letteraria. Si stanno avvicinando le elezioni cantonali, e la frase da bar ricorrente in molti discorsi è «io do il voto alle persone oneste, non mi interessano i partiti». Questo perché da qualche tempo è ammessa la cosiddetta lista senza intestazione, è possibile cioè votare per candidati appartenenti a partiti diversi o anche opposti, senza esprimere preferenza per un un determinato partito. L’onestà sembra diventata l’unica discriminante nelle scelte degli elettori.


La versione nobile di quella frase banale si trova nell’intervista ad Enrico Berlinguer apparsa sul quotidiano laRepubblica nel lontano 1981: «I partiti di oggi … non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile: sono piuttosto federazioni di camarille, ciascuna con un boss e dei sotto-boss. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi e di soffocare in una palude». Parole profetiche. E tuttavia gravi in bocca al segretario di un grande partito comunista. Al centro del problema italiano non v’era a quei tempi la corruzione dilagante o lo smarrimento della funzione democratica dei partiti, ma la rinuncia del partito di Berlinguer a portare avanti il progetto di trasformazione dell’Italia in senso socialista. Mettendo in primo piano la questione morale, egli toglieva dalle mani del popolo di sinistra la sua ragion d’essere, perché l’onestà è una virtù, non un progetto politico.


Così, alla fine del secolo scorso, gli eredi della storia del movimento operaio decretarono la fine della diversità socialista per confluire nel placido corso della storia liberale. Paolo Favilli, studioso di storia contemporanea, ha scritto che siccome il sistema dei valori morali di riferimento dipende dalla concezione che abbiamo dei rapporti fra gli uomini (non i rapporti individuali ma quelli sociali mediati dall’economia), allora, se si considera il mercato come regolatore di tali rapporti e si pensa l’umanità come un’immensa associazione a scopo di lucro, non ci si deve meravigliare se la politica seleziona le persone più abili nel conseguimento del vantaggio personale.
Essere avidi senza sentirsi in colpa, perché il mercato così vuole. Premonitore, Piero Gobetti – citato da Favilli – affermava negli anni ’20 del secolo scorso: «I lamenti sulle degenerazioni morali non intendono che fuori della lotta politica manca il criterio del rinnovamento etico».


La morale non è come il formaggio grattugiato che si sparge sulla pastasciutta quando è già nel piatto, ma è qualcosa che viene prima e consiste nello scegliere, scegliere se stare dalla parte dei benestanti o dalla parte di chi è vittima della distribuzione ineguale della ricchezza nel mondo. Per esempio le persone sulle quali si stanno scaricando le conseguenze del cambiamento del tasso di cambio del franco: diminuzione di salario del 7% o tre ore di lavoro in più settimanali gratis per i dipendenti dell’Agie-Charmilles di Losone, e la loro commissione interna ha accettato, come hanno accettato una diminuzione di salario fino al 10% e un’ora di lavoro in più al giorno i dipendenti della Mikron Tool di Agno. Perché il posto di lavoro per quegli operai è ciò a cui tengono di più, è l’ultimo baluardo contro la miseria e l’esclusione sociale. Ma una società che umilia a tal punto il lavoro è destinata inevitabilmente a fondarsi sul malaffare e sul moralismo da osteria.

Pubblicato il 

12.02.15

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