Tra ricorsi e scandali, l'Italia al voto

Le piazze italiane sono piene, settimana dopo settimana il "popolo di sinistra" sembra essersi improvvisamente rianimato costringendo i gruppi dirigenti dell'opposizione a qualche ravvedimento unitario.

Chissà se lunedì 29 marzo, alla chiusura dei seggi elettorali, anche per le urne si potrà dire lo stesso, o se il vento francese dell'astensione avrà varcato le Alpi colpendo anche il Belpaese. Una cosa in comune tra i due paesi esiste di sicuro: le destre di governo sono in crisi, sembra esaurita la spinta propulsiva tanto del presidentissimo Sarkozy quanto dell'aspirante Cesare, Silvio Berlusconi. In Italia il centrodestra non è mai stato così diviso al suo interno. Il miracolo del predellino di riunificare le destre in un solo partito non è riuscito, la ex Forza Italia e l'ex An configgono rumorosamente, se le danno di santa ragione prima sulla scelta dei candidati presidenti di regione e poi nella formazione delle liste elettorali. Al punto che a Roma, nel tentativo maldestro di cambiare qualche nome all'ultimo minuto, la lista del Pdl è rimasta fuori dalla porta per palese e incontestabile ritardo, come hanno certificato i giudici romani, il Tribunale regionale del Lazio (Tar) e il Consiglio di Stato. I ricorsi berlusconiani continuano, naturalmente, ma con scarse possibilità di successo. Con ogni probabilità, salvo decreti dell'ultima ora che in un paese dove il sistema legislativo è stato occupato dal governo non sono certo da escludere, i romani potranno sì votare per la candidata Renata Polverini, ma non per il Pdl orfano di lista.
I lombardi, invece, dopo un batti e ribatti potranno votare per l'immarcescibile Roberto Formigoni, riammesso in partita ai tempi supplementari. Il vento della divisione che mostra un Fini sempre più smarcato dal feroce Cavaliere armato da sacro livore antidemocratico, anticomunista, antigiornalisti e antimagistrati, colpisce anche le destre meridionali, e la strana coppia Lombardo e Miccichè ha già pronto il partito del sud.
Gli unici a ridersela sotto i baffi, a destra, sono i leghisti di Bossi che sognano il gran sorpasso padano. I verdi sfottono il "capo" Berlusconi, pur giurando fedeltà gli suggeriscono di evitare esternazioni telefoniche che settimanalmente lo compromettono e fanno di lui un iperinquisito (ma tanto c'è il salvapremier) e non risparmiano sberleffi al Pdl, incapace persino di presentare le liste elettorali. Le camicie verdi puntano a strappare tutto il nord in cui si vota (Lombardia e Veneto sono certe, Piemonte e Liguria in bilico) e a segnare un'egemonia leghista sul Pdl. Addirittura, in Lombardia i bossiani potrebbero dare un voto disgiunto per tenere Formigoni sotto il 60 per cento e rosicchiare altri seggi al Pdl nel listino del presidente attraverso il premio di maggioranza. Basta mettere una croce sul simbolo leghista e una su un candidato presidente diverso – le liste di disturbo non mancano.
Il Pd, invece, spera di non perdere troppo rovinosamente pur avendo fatto di tutto per dividere la sinistra presentando un candidato presidente "sceriffo": Penati non piace e in ogni caso vede la falce e martello come fumo negli occhi, ha incorporato la Sel di Vendola e costretto la Federazione della sinistra (Prci, Pdci, Socialismo 2000 e altre forze minori) a correre in proprio con Vittorio Agnoletto che ha portato nel suo listino il meglio che la società e la cultura lombarda abbiano prodotto (Dario Fo e Franca Rame, Moni Ovadia, Paolo Rossi, Molinari, Margherita Hack, operai, insegnanti). Anche se per le forze democratiche sul portone della Lombardia sta scritto a caratteri cubitali la dantesca frase "lasciate ogni speranza o voi che entrate", la partita si sarebbe potuta giocare con maggior responsabilità e lungimiranza.
Anche per il Veneto i giochi sono fatti, a tutto vantaggio del leghista Luigi Zaia che è riuscito a scalzare dalla poltrona di presidente Galan. Qui la competizione nel centrosinistra non ha prodotto i guasti lombardi. Almeno a Venezia, dove è in gioco il posto del sindaco e a correre per le destre c'è addirittura l'odiato ministro Brunetta ("l'energumeno tascabile", l'aveva definito in una delle sue rare uscite felici Massimo D'Alema), la partita è aperta e la battaglia a sinistra comune.
Diversa la situazione in Piemonte. Qui la giunta uscente di centrosinistra ha operato bene e la candidata Mercedes Bresso potrebbe persino farcela a battere il leghista Cota. In realtà ci sono, e non da oggi, due Piemonti: uno nasce e finisce a Torino e nella sua cintura "rossa", dove l'insediamento operaio pur falcidiato dalla crisi e il "buon governo" del sindaco Chiamparino garantiscono una tenuta democratica, l'altro Piemonte è una piovra verde che tenta di soffocare la cittadella rossa. La partita elettorale si giocherà sul filo del rasoio. Non è che sotto la Mole le divisioni a sinistra non si facciano sentire: la Tav in Val di Susa è per la coppia Bresso-Chiamparino il fulcro del futuro sviluppo, mentre per l'ambientalismo, i comunisti, i vendoliani, la Fiom-Cgil è poco meno del peccato originale, metafora di un modello di sviluppo da combattere. Però, senso di responsabilità e paura della marea leghista hanno impedito rotture rovinose.
In Liguria, regione anch'essa governata dal centrosinistra, le possibilità di riconferma di un maggioranza democratica sono più forti che in Piemonte.
Al centro dovrebbero tenere le posizioni quelle che una volta si chiamavano "regioni rosse": Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche dove l'opposizione a Berlusconi si presenta unita, con l'eccezione delle Marche in cui l'inseguimento di un'Udc tutt'altro che indispensabile per vincere ha spinto fuori dalla coalizione Sel e Federazione della sinistra che si presentano con un loro candidato.
Certa sembra essere l'affermazione del centrosinistra nella Puglia del miracolo Vendola che è riuscito a battere i tentativi dalemiani di scalzarlo dalla poltrona di presidente con un candidato accettabile per l'Udc. Si è rimessa in moto la "fabbrica" vendoliana che sta attivando decine di migliaia di sostenitori convinti in tutti i paesi della regione e i sondaggi dicono Vendola.
Probabile anche la riconferma del centrosinistra in Basilicata mentre i dolori arrivano dalla Campania post-bassoliniana affidata a un altro sceriffo anti-immigrati, quel De Luca che ha spinto la Federazione della sinistra a correre in proprio con il segretario Paolo Ferrero. L'esito più probabile è che la camorra espugni definitivamente la regione con una vittoria berlusconiana. Idem nella Calabria della 'ndrangheta, dove la ricandidatura di Lojero ha provocato la rottura con Di Pietro che presenta un candidato contrapposto, il re del tonno Callipo.
Direte: e la politica? I contenuti, la crisi economica? Non è (ancora?) questo, purtroppo, il terreno principale della ripresa d'ossigeno dell'opposizione democratica. Anche se, finalmente, il lavoro entra timidamente nei programmi e nelle manifestazioni politiche e ciggielline di piazza multicolori (rosso, viola e tricolore Pd). L'emergenza democratica, il rischio di ulteriore involuzione autoritaria e populista di un governo debole e incattivito che cancella regole, parlamento e Statuto dei lavoratori con annesso articolo 18, rimette in moto il paese e promette novità a sinistra. Ma i contenuti dell'alternativa restano nascosti. Solo un successo elettorale potrebbe riportare al centro una politica alternativa.

Pubblicato il

19.03.2010 03:00
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