Tra le macerie della bellezza

Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: “Perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. È partendo da questa frase di Peppino Impastato, attivista siciliano ucciso dalla mafia nel 1978 mentre era candidato per Democrazia proletaria, che il presidio universitario di Libera organizza a Bologna, fino alla fine di novembre, una serie di conferenze e workshop ponendola sotto il titolo “Tra le macerie della bellezza: dal brutto al bello”.


Ho aderito volentieri a questa iniziativa, che mette in tensione la critica dell’attualità, della sua inabitabilità, con la ricerca di una bellezza intesa come dimensione di promozione e resistenza attiva delle soggettività, di riscatto dei luoghi di vita dismessi e degli oggetti orfani lasciati sul terreno dalla speculazione. In fondo, anche buona parte della tradizione filosofica ha guardato alla dimensione del bello proprio come a una dimensione in grado di risvegliare le soggettività, capace di rimettere in azione il gioco fra l’intelletto e l’immaginazione, capace pertanto di coinvolgerci in un appello empatico verso l’altrove, verso un mondo alternativo a quello dominato dalla ricerca del profitto. La bellezza, allora, nella sua libertà, come prefigurazione di un’altra realtà, non più scissa fra ragione e sentimento, non più frazionata e alienata interiorizzando la divisione del lavoro, ma più completa: una realtà quasi ridisegnata dal principio del piacere…

 

Temi, questi, che trovano la loro lontana origine nelle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo di Schiller, nella critica romantica della ragione illuministica, e divenuti poi cari, attorno al ’68, alla sinistra di ispirazione marcusiana. Eros e Civiltà: ve lo ricordate? Si trattava dell’esperienza estetica come esperienza di ritorno del rimosso. Ma, ahinoi, a partire da allora la dimensione estetica dominante ha piuttosto svolto (e ancora oggi svolge) una funzione per lo più compensatrice e integratrice. Non è forse proprio incantando e assuefando l’immaginazione, e facendoci con ciò “perdere la testa”, che il feticismo della merce e la società dello spettacolo si sono insinuati in ogni dove, in ogni spazio e in ogni ambito fino a dominarlo? Anche in questo senso, dunque, noi siamo tra le macerie della bellezza… tra macerie anche “edonistiche” che hanno accompagnato come un’ombra, anzi come un cumulo sempre più alto e ingombrante, lo stesso darsi del progresso, il corso della crescita e lo stato del benessere. Ma vi è pur sempre ancora un’altra e straniante bellezza, una bellezza dei rifiuti e degli scarti, una bellezza che ritorna, che può essere salvata, recuperata, impugnata come un’arma poetica per arginare a partire dal piano simbolico lo sfrenato consumismo imposto dalle leggi del capitale. Lo straccivendolo già in Baudelaire torna a casa la notte, cantando e fantasticando progetti gloriosi, innalzando quei suoi miseri scarti e stracci, raccolti dalla vomitante città, come un onirico segnale di rivolta per l’intera vita offesa, per le sue e le nostre vite di scarto…

Pubblicato il

09.10.2013 23:18
Nicola Emery
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