È proprio qui, al Roter Thurm di Soletta, che tanti anni fa incontrai Jürg Federspiel. Dopo aver condiviso una bottiglia di vino rosso, lo scrittore mi disse di smetterla con la poesia e di buttarmi nella narrativa. Sto parlando di giorni lontani, di un convegno letterario di cui ho vaghi ricordi: il più nitido è, appunto, quella frase di Federspiel. Ma perché mi disse così, il basilese? Un suo pregiudizio nei confronti della poesia, genere più aristocratico della prosa? Non so e non ho più avuto occasione di incontrare lo scrittore per approfondire. Da tempo egli ci ha lasciato: sono rimasti i suoi libri, alcuni tradotti in italiano (per me il più bello è Arance e morte, trovato su una bancarella). Dopo quell'incontro io, naturalmente, continuai a scrivere poesie. Ma le parole di Federspiel contribuirono a scacciare la mia timidezza di narratore. Ora, in questa camera d'albergo, mi viene incontro quel fantasma.
Questa città mi piace, perché ha tre nomi musicali – Solothurn, Soleure, Soletta – e perché è abitata da fantasmi. Non solo quelli barocchi, che si arrampicano sugli stucchi e sulle bianche volute della chiesa dei Gesuiti, ma anche quelli della memoria. Qui ha abitato Robert Walser, per qualche mese. Vado a rivedere la targa grigia che lo ricorda; e penso a mio padre che nacque proprio nel 1900, l'anno in cui Walser abitava dietro quelle finestre, alle quali stamattina giungono le voci del mercato. L'ho conosciuto così poco, mio padre. E nessuno si ricorda di lui, che aveva una modesta aria impiegatizia, proprio come questo scrittore morto da solo nella neve, così diverso da quelli che s'incontrano nei festival.
Prima di scendere alla stazione di Soletta e di venire qui, mi sono annotato una frase di Denis de Rougemont riprodotta sulla parete della carrozza ferroviaria. La frase dice: "È perché ha rifiutato di abbassarsi ad altezza di uomo, al livello del reale, che la nostra cultura si sgretola ". La frase funziona anche sostituendo "cultura" con "letteratura". Pensiamo a quante parole lontane dalla verità galleggiano sulle acque del quotidiano ingorgo editoriale. Quante vanità, quanti equivoci, quante illusioni: c'è anche lo scrittore che pensa di poter toccare il cielo con un dito guardando dal finestrino di un aereo per andare a sprovincializzarsi. Senza capire che il provincialismo non dipende dalla geografia, ma è un luogo dello spirito. Lo aveva capito bene Robert Walser che nella sua Passeggiata solitaria in luoghi conosciuti fa incontri imprevedibili, descritti con ironico candore: "Ogni passeggiata è piena di incontri, di cose che meritano d'esser viste, sentite". Si può toccare il cielo con un dito anche sulla soglia di casa. Basta tenere gli occhi – quelli veri e quelli dell'immaginazione – ben aperti.

Pubblicato il 

22.06.12

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