L’ottica del mercato e delle sue leggi ormai primeggia. Un’ideologia che pare consolidarsi sempre più, fagocitando a poco a poco ogni settore di competenza pubblica. Cosa non dovrebbe sottostare alle leggi della libera concorrenza? I settori sui quali sarebbe opportuno che lo Stato mantenesse il controllo. L’azienda elettrica (Aet) è uno di quei settori, nell’ottica dell’Associazione per la difesa del servizio pubblico. In buona sostanza l’Associazione si oppone al progetto elaborato dal Dipartimento dell’economia e delle finanze di smembrare l’Azienda elettrica in tre società anonime con a capo una holding. Le azioni di quest’azienda verrebbero alienate per gradi ai privati. Il problema centrale è sempre quello del ruolo dello Stato che deve garantire l’efficienza di un servizio fondamentale per la popolazione, in questo caso l’approvvigionamento elettrico. Ora, mettendosi "nell’ottica di un privato detentore di azioni", spiega Werner Carobbio, vicepresidente dell’Associazione, "l’interesse principale è che l’investimento renda, non che il servizio sia assicurato anche nelle regioni meno redditizie". Quindi l’Associazione per la difesa del servizio pubblico non transige: "L’Aet non dev’essere privatizzata neppure parzialmente, in modo che il Cantone anche in futuro possa continuare a giocare un ruolo attivo nella pianificazione della politica energetica". Quella delle privatizzazioni a Sergio Salvioni sembra addirittura una moda: "sicuramente non la si può considerare la panacea ad ogni male" e, nel dubbio, è sempre in agguato il black-out di californiana memoria a mo’ di monito. Rimedio a quale male poi, dal momento che i conti dell’azienda elettrica sono floridi. E gli utili, occorre sottolinearlo, sono stati realizzati con una gestione interamente pubblica dell’Aet. Perché cedere dunque ai privati la gestione di un’azienda che è ben funzionante. Salvioni fornisce un altro dato assai confortante per il Ticino: "la produzione di elettricità è per i due terzi autarchica e perciò solo nella ragione di un terzo è soggetta alle variazioni di prezzo del mercato". Se poi il Ticino avesse l’audacia di confrontarsi con mercati più grandi la spunterebbe contro i titani del mercato dell’elettricità? Significherebbe abbandonare all’incertezza ciò che ora è sicuro. Anzi, secondo le parole di Salvioni "è meglio essere piccoli ma sicuri piuttosto che grandi e malcerti". E dall’ottica aziendale scendiamo a quella del consumatore. Giovanni Jelmini ha portato un esempio interessante di come la privatizzazione di questo servizio potrebbe influire sulla spesa dei consumatori. La privatizzazione comporta l’abolizione dei diritti di privativa dei Comuni. Ciò significa, in termini di denaro, la perdita di 32 milioni di franchi che le società di distribuzione versano ai Comuni. L’esempio citato da Jelmini è quello di Riva San Vitale che ha calcolato che nel caso si attuasse la privatizzazione il moltiplicatore di imposta verrebbe aumentato di cinque punti percentuali per compensare tale perdita. Sempre dal punto di vista dei consumatori Fiamma Pelossi osserva che i prezzi dell’elettricità in Ticino sono bassi rispetto al resto della Svizzera e quelli svizzeri sono bassi rispetto al resto dell’Europa. È presumibile dunque che con una privatizzazione i prezzi non si abbasseranno ulteriormente. Anzi, è più facile che accada il contrario se guardiamo all’esempio di altri paesi. Concludendo ci si chiede a vantaggio di chi andrebbe lo smantellamento del controllo pubblico sull’azienda elettrica. Forse delle grandi imprese. Di sicuro non del consumatore. Ancora una volta non si tratta di difendere gli ultimi bastioni del monopolio di Stato. Anche in questo caso è in gioco la qualità di un servizio che dev’essere garantito da quell’istanza democratica che è lo Stato. È questo a legittimare ancora il controllo statale per quanto inviso ai nuovi orientamenti ideologici.

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27.04.01

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