Tav, protesta sovversiva

Bandiera bianca, supermotrice cancellata da una croce, scritta “No Tav”. È diventato il simbolo della protesta italiana contro l’idea nefasta della neutralità del progresso pur che sia, capace di bruciare i tempi, l’ambiente, le popolazioni. Capace di violare le leggi dell’economia e dell’aritmetica per agganciarsi al presunto carro europeo che dovrebbe passare attraverso il mitico Corridoio 5, quello che dovrà unire l’ovest all’est e perché no, fare il giro del mondo. Treni ad alta velocità in un territorio europeo in cui non c’è una linea ferroviaria uguale all’altra, persino lo scartamento dei binari è diverso. Un treno veloce che per collegare Torino a Lione – già legate da una tratta servita da Pendolini e Tgv – deve traforare l’unico monte della Val di Susa ancora integro e attraversarlo con una galleria lunga 53 chilometri. Deve – imperativo categorico – violare una valle strettissima già ferita da una linea ferroviaria, un’autostrada e due strade statali dove tentano di sopravvivere 60 mila anime, montagnini fatti di una pasta robusta, risoluti, determinati a non farsi travolgere dalla Tav. Dietro alla straordinaria protesta della popolazione valsusina che si è presa la soddisfazione di costringere il governo di Roma e quelli piemontese e torinese a trattare e di imporre la sospensione dei lavori e il congelamento dei cantieri, ci sono 12 anni di mobilitazione contro il progetto di alta velocità che si vuole loro imporre. Lo scontro è emblematico: da un lato chi sostiene l’“interesse nazionale” e dall’altro chi difende la propria vita e il futuro dei propri figli. Perché tanto accanimento anti-Tav? Perché la Val di Susa non riuscirebbe a reggere un’opera di proporzioni gigantesche; perché in quella valle e dentro quei monti c’è l’amianto, al punto che sono moltissimi i valsusini prepensionati proprio perché sottoposti per decenni alla convivenza e al lavoro con quel veleno; perché in quei monti c’è anche l’uranio, neppure impoverito; perché se si volesse scavare quella galleria sarebbero necessarie tali e tante avvertenze per tutelare la salute di lavoratori e valligiani da far schizzare i costi dell’opera a valori insostenibili, incompatibili dunque tanto dal punto di vista ambientale quanto da quello economico. Il movimento No Tav propone soluzioni alternative, a partire dal raddoppio della linea ferroviaria esistente. Soltanto dopo le lotte dell’ultimo mese che hanno fermato i lavori, sindaci dei comuni della valle e comitati dei cittadini sono riusciti a farsi ascoltare dal potere politico. Sindaci e presidenti di comunità montane che sono soprattutto di centrosinistra – il leader riconosciuto del movimento, Ferrantino, è dei Ds – ma anche leghisti. Dall’altra parte, il governo Berlusconi ma anche il sindaco di Torino Chiamparino, Ds come la presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso e anche il presidente della Provincia Saitta è stato eletto dallo schieramento di centrosinistra. Che devono vedersela con una comunità compatta, determinata, capace di presidiare giorno e notte i cantieri di montagna, di organizzare uno sciopero generale riuscito al cento per cento, di lasciar deserte le scuole, di sopportare le cariche pesanti della polizia e dei carabinieri e costringere politica e armi a ritirarsi da una valle che era stata militarizzata da duemila agenti spediti sul fronte valsusino dal ministro degli interni Beppe Pisanu. Dall’altro lato la solita protervia, “il progresso” e gli “interessi nazionali”. Dicono che con la Tav il traffico delle merci sarà spostato dall’asfalto alla rotaia, riducendo così l’inquinamento: mentono, se ci fosse la volontà politica lo farebbero già ora sulla linea ferroviaria esistente. Invece, nell’arco di dieci anni è successo l’opposto e il traffico su gomma è salito in Italia dal 70 all’80 per cento. Mentono, la Francia ha già fatto sapere che dalla sua parte la Tav non trasporterà merci ma solo persone. Oltre a mentire, imbrogliano: non è stato fatto quasi nulla sul versante dell’impatto ambientale, mentre dall’altro lato il movimento No Tav si avvale delle analisi effettuate dal fior fiore degli scienziati disponibili, analisi che confermano i sospetti della popolazione, l’incompatibilità ambientale di quel progetto in quel territorio. Il movimento No Tav è visto con grande sospetto perché trascina con sé un’idea di democrazia che scardina certezze e fermezze dei poteri politici ed economici. È la pretesa della comunità di dire la parola finale su un’opera che attraversa i suoi luoghi e le persone. È un’idea “sovversiva” – sovversivi sono stati chiamati gli alpini e le suore della valle che non hanno arretrato di fronte alle forze dell’ordine costituito – tanto in una valle come in una fabbrica: lo sa bene la Fiom, che quando avanza la pratica per cui ogni accordo sindacale dev’essere sottoscritto dai diretti interessati, i lavoratori, si trova il consenso dei lavoratori ma il dissenso di tutti gli altri soggetti in campo, e non solo dei padroni. Dopo la riconquista del cantiere di Venaus e la denuncia delle violenze della polizia, dunque, c’è stato un incontro a Roma tra i sindaci della valle, i capi delle istituzioni piemontesi e cinque ministri più il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta. Dall’incontro i sindaci sono usciti con un documento in cinque punti che garantisce il blocco dei lavori, l’istituzione di un tavolo congiunto, quelle analisi di impatto ambientale che non sono state fatte, ma solo relativamente a una parte dei lavori: il traforo di 53 chilometri. Il resto del documento è così ambiguo che i sindaci della valle non l’hanno firmato, e subito sono tornati a discutere con i propri cittadini, più di 5 mila praticamente in assemblea permanente. Dunque, va bene la sospensione dei lavori; va bene l’avvio di una trattativa negata per 12 anni; va malissimo la parzialità degli accertamenti economici e ambientali; neanche a parlarne della pretesa di riprendere i lavori sul vecchio progetto dopo le Olimpiadi invernali. La mobilitazione continua, dunque, e sabato 17 dicembre tutti a far festa a Torino, chi manifestando per le strade della ex capitale dell’auto e oggi capitale olimpica e chi limitandosi a partecipare alla kermesse che sarà allietata dalla presenza del premio Nobel Dario Fo, dal fustigatore Beppe Grillo e dall’amatissimo attore Paolini. Tutte le strade, i cortei, le macchine dei sindaci della valle porteranno decine di miglia di valligiani, torinesi, italiani impegnati in altri movimenti ambientali e sociali alla grande kermesse. Il sindaco di Torino Chiamparino ha tentato di far impedire il corteo che avrebbe turbato le spese natalizie dei sui cittadini ma non è riuscito a convincere neppure il prefetto. Sarà una festa, la festa della vittoria di una comunità di montagnini e delle forze sociali e della sinistra radicale che hanno sostenuto la lotta della Val di Susa.

Pubblicato il

16.12.2005 03:00
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