SocialitĂ 

I tagli agli assegni integrativi e di prima infanzia mobilitano le famiglie ticinesi. Se i politici cantonali non sapranno ascoltarle, saranno forse dei tribunali a ripristinare lo spirito originario della politica familiare cantonale, invidiata dal resto del paese e ora diventata un incubo per molte famiglie in Ticino.

 

Lunedì 22 febbraio a Bellinzona, mentre è in corso la seduta del Gran Consiglio ticinese, un gruppo composto da una decina di mamme e di papà coi loro pargoletti si presenta fuori dai cancelli del palazzo governativo. Chiedono di poter parlare con Luca Pagani,l’attuale presidente del Gran Consiglio.

 

Vogliono consegnargli una petizione sottoscritta in due giorni da poco meno di un centinaio di cittadini. «Richiesta di correttivi» è il titolo. Si riferisce alle modifiche alla legge sugli assegni integrativi e di prima infanzia approvate dal medesimo parlamento lo scorso b16 dicembre. Tempo due settimane, quelle modifiche entrano in vigore e molte famiglie si trovano improvvisamente con gli assegni familiari cancellati o ridotti, anche pesantemente. Quando dal tuo budget familiare di 3.000 franchi scompaiono da un mese all’altro mille franchi, hai dei grossi problemi.

 

«Con la vostra riforma avete creato una situazione drammatica e pesante a moltissime famiglie in Ticino, famiglie che senza alcun avviso da parte dell’Ufficio preposto si sono ritrovate dall’oggi al domani con gli assegni ridotti drasticamente (alcuni casi fino a quasi Fr. 3.000 in meno), ma con le stesse spese dei mesi precedenti» scrivono nella missiva allegata alla petizione.

 

Gli uffici cantonali hanno individuato 750 famiglie potenziali vittime della riforma. Un quarto del totale dei beneficiari. 400 famiglie da subito, di cui oltre un centinaio monoparentali, da inizio anno.

area se ne è occupata in più occasioni (area n. 15/2015 e n. 2/2016). A subirla sono tre categorie, che a volte si mischiano tra loro. Ci sono quelli a cui il diritto è stato semplicemente cancellato col passaggio dell’anno. Sono le famiglie dove entrambi i genitori hanno il permesso B, a prescindere da quanto tempo risiedono in Svizzera.

 

Seguono quelle dove un genitore ha un’attività indipendente e infine le famiglie dove il tempo di lavoro dei due genitori sommato non raggiunge il 100%. Per valutare la loro condizione economica si calcola il reddito ipotetico a tempo pieno. Semplificando con cifre teoriche: la soglia per avere diritto agli assegni familiari è sotto i 4.000 franchi. L’unico genitore attivo ha un impiego al 50% per il quale riceve 2.000 franchi lordi. Il suo salario ipotetico è dunque il doppio, 4.000 franchi. Non ha quindi diritto agli assegni familiari.

Alcune di queste famiglie si sono arrabbiate e indignate, ma non rassegnate. E hanno reagito. Non conoscendosi tra loro, hanno cercato di incontrarsi nella piazza virtuale, creando un’apposita pagina in Facebook. Un luogo d’incontro dove raccontare e condividere la propria esperienza e il disagio creato da quella scure economica calata d’improvviso. Raccolgono anche la solidarietà di cittadini non toccati dai tagli, ma scioccati dai “risparmi” fatti sull’anello più debole della società.

 

Da quella piazza virtuale nasce l’idea di esprimere l’indignazione attraverso la petizione consegnata quel lunedì. «Ci aspettiamo che valutino attentamente le conseguenze della loro decisione e mettano in atto quei correttivi necessari per risolverle » spiega ad area Lisa, una delle portavoci del gruppo. «Hanno creato difficoltà enormi a molte famiglie di punto in bianco. Quelle col permesso B vivono nel terrore nel richiedere l’assistenza sociale perché hanno paura di essere espulse. Le altre hanno paura di contrarre un debito con l’assistenza, o semplicemente si vergognano di doverla chiedere» Tutto per aver avuto la “sciagurata” idea di aver un figlio. Quando la notizia della consegna della petizione è uscita sui portali online, non sono mancati i commenti acidi dei soliti anonimi blogger. Commenti che le hanno ferite, amareggiate. «C’è chi scritto: “chi fa figli dovrebbe pensarci prima a mantenerli”. Certo, peccato che mio marito è stato licenziato il mese dopo che ero incinta. Cosa avrei dovuto fare?» racconta un’altra mamma del gruppo. «Se ogni famiglia dovesse pianificare l’arrivo di un figlio sulla certezza economica e del posto di lavoro per i prossimi venti anni, non avremmo più bambini in Ticino» commenta Lisa.

 

Dalla Svizzera interna sono arrivate critiche sostenendo che dovrebbero dirsi fortunate che in Ticino esistono gli assegni famigliari. Lisa ha una risposta pronta: «A parte il fatto che noi li difendiamo gli assegni, in Svizzera tedesca non conoscono il problema della pressione sui posti di lavoro e sui salari con la forte presenza di manodopera frontaliera. Oltre a una maggior facilità nel trovar lavoro, hanno delle paghe molto più alte. Da noi invece esiste anche il problema di dove sistemare i figli quando lavori. La rete degli asili nido è cara e insufficiente». L’amica annuisce, sottolineando che tra affitti alle stelle e mercato del lavoro precario con le paghe al ribasso, scegliere di creare (o allargare) una famiglia, «è diventato una scommessa azzardata in Ticino». Lei e il marito stanno pensando seriamente di andare a vivere coi bimbi oltre confine. «Non è una scelta facile. Ma mio marito è lombardo e i suoi genitori vivono lì. Col salario di mio marito a metà tempo (perché non gli offrono di più) dovremmo riuscire a sopravvivere dignitosamente. L’alternativa è chiedere l’assistenza, cosa di cui mi vergogno. Senza contare che lui rischierebbe di essere espulso avendo il permesso B». Questi i risultati nella vita reale delle persone scaturiti dai presunti “risparmi” approvati dal Gran consiglio penalizzante le famiglie la cui nascita di un figlio li ha fatti sprofondare nella povertà. Proprio l’esatto contrario dello spirito originario della legge varata circa venti anni fa. Uno spirito riassunto ad area dal promotore della legge sugli assegni integrativi e di prima infanzia, l’ex consigliere di Stato Pietro Martinelli: «La società ha bisogno che le famiglie generino e allevino (bene) dei figli, è interessata a evitare che la nascita di un figlio diventi causa di povertà e a far sì che un genitore possa scegliere di restare accanto al figlio nei primi tre anni di vita».

 

Ora la petizione promossa dai genitori-cittadini dovrebbe essere discussa dalla Commissione delle petizioni. Difficile prevedere se riuscirà a far cambiare la nuova politica familiare cantonale discriminatoria e sessista perché penalizza donne che allevano i figli da sole.

 

A fermare la politica cantonale ispirata dal rappresentante del Partito popolare democratico Paolo Beltraminelli potrebbe essere di nuovo il Tribunale federale. I legali vincitori dei precedenti ricorsi in materia, l’avvocato Rosemarie Weibel e il giurista del Soccorso operaio svizzero Mario Amato, inoltreranno a giorni vari ricorsi al Tribunale federale contro le modifiche alla legge. I tempi della sentenza potrebbero essere lunghi, ma se i ricorsi fossero accolti, non si esclude che il Cantone sia costretto a risarcire le famiglie quanto negato da gennaio. Per tenere aperta la possibilità, il consiglio alle famiglie è di inoltrare reclamo contro la decisione di decurtare o annullare gli assegni.

Pubblicato il 

13.03.16