Sul lavoro si aspetta il governo

Superamento della legge 30 che precarizza il lavoro, cancellazione della controriforma del sistema pensionistico firmata dall'ex ministro leghista Roberto Maroni. Due impegni scritti nero su bianco nel programma con cui l'Unione ha vinto le elezioni. Sul primo fronte è stato fatto ben poco, molto meno di quanto si aspettassero gli elettori: qualche timida garanzia in più ai giovani e alle donne dei call center, un generico impegno a rendere meno conveniente per gli imprenditori l'utilizzo di forme contrattuali "anomale": lavoro a termine e cocopro, cioè contratti a progetto per svolgere le stesse prestazioni subordinate una volta garantite dai dipendenti a tempo indeterminato. Contratti anomali? La realtà è che più del 50 per cento dei neoassunti è sottoposta a queste forme capestro di rapporto di lavoro.

Sul secondo fronte, l'abolizione dello "scalone" di Maroni e la rivalutazione delle pensioni minime, è aperta da mesi una dura polemica tra una parte del governo e Cgil, Cisl e Uil che non promette nulla di buono. Intanto, che cos'è lo scalone? Una maledizione per chi ha iniziato a lavorare giovanissimo, magari in fabbrica, è titolare di almeno 35 anni di contributi e si vedrebbe allontanare di colpo l'età pensionabile di tre anni, dai 57 ai 60. Se non si rimetterà mano in fretta a questa controriforma, dal primo gennaio del 2008 una generazione più che usurata si vedrà costretta a lavorare per altri tre anni. Fortunato chi avrà maturato le condizioni della vecchia legge entro il 31 dicembre del 2007.
L'impegno assunto dal centrosinistra è stato messo in dubbio da una parte sostanziale del centrosinistra – quella che sta costituendo il Partito democratico sulle ceneri dei Ds e della Margherita – che ha come capofila estremista il ministro Padoa Schioppa. La posizione portata al tavolo di trattativa con le parti sociali è irricevibile: o si raggiunge subito un accordo che preveda la modifica dei coefficienti, destinata ad abbassare il rendimento delle future pensioni di chi già oggi è precario e dunque ben poco coperto ai fini pensionistici, oppure sarà confermato lo scalone di Maroni.
La "mediazione" avanzata dal ministro del lavoro Cesare Damiano prevede due correttivi: definizione dei lavori usuranti per garantire ai lavoratori turnisti, alla catena di montaggio e comunque sottoposti a una fatica appunto usurante le vecchie regole. Per tutti gli altri si potrebbe sostituire lo scalone di tre anni con alcuni scalini, per cui il furto verrebbe scaglionato in tre rate annuali. Insomma, si perderebbe un anno di pensione ogni dodici mesi lavorati.
Contro lo scippo pensionistico si sono espressi Cgil, Cisl e Uil, sia pure con disponibilità diverse. Prc, Pdci, Verdi e Sinistra democratica rivendicano l'impegno programmatico dell'Unione. I lavoratori dipendenti parlano la lingua che conoscono meglio: da una decina di giorni sono iniziati gli scioperi spontanei nelle principali fabbriche italiane.
A dare il là alla protesta operaia, le tute blu della Fiat Mirafiori, vittime predestinate della controriforma Maroni, seguite dai dipendenti dei principali impianti industriali del nord e di alcune fabbriche del centro e del sud Italia. Sono segnali che dalle officine vengono inviati al governo, ma anche alle organizzazioni sindacali che non hanno alcun mandato a contrattare il peggioramento delle loro condizioni pensionistiche. Tanto più che il luogo comune che denuncia il disavanzo strutturale dei conti dell'Inps è falso: solo l'unificazione dell'assistenza alla previdenza determina il saldo passivo, mentre la sola previdenza è perfettamente in linea. Secondo imbroglio: non è vero che gli italiani vanno in pensione prima, perché solo una parte dei lavoratori in possesso dei requisiti di legge si avvale della facoltà di lasciare il lavoro. Tedeschi e francesi vanno in pensione un anno dopo gli italiani. Terzo imbroglio: per dimostrare che i conti non tornano sono state scaricate sull'Inps le pensioni degli alti funzionari che ben poco hanno a che vedere con quelle dei lavoratori "normali". Sarebbe molto più tollerabile tentare un allungamento dell'età lavorativa garantendo un incentivo a restare, piuttosto che penalizzare chi non ce la fa più. Infine, per riempire le casse dell'Inps basterebbe aumentare la lotta all'evasione e contro il lavoro nero, nonché regolarizzare le centinaia di migliaia di immigrati costretti a faticare e vivere clandestinamente.
Purtroppo le inadempienze del governo sul lavoro non si fermano qui. Milioni di dipendenti pubblici aspettano da 17 mesi il rinnovo del contratto scaduto, e dopo la firma di un accordo che prevede un aumento di 101 euro a partire dall'anno prossimo, l'esecutivo ha fatto marcia indietro rifiutandosi di onorare gli impegni presi. In cambio dei 101 euro ora si pretende che i sindacati firmino un accordo per portare da due a tre anni la durata della parte salariale del contratto.
Se non si arriverà entro una settimana a un accordo, all'inizio di giugno sarà sciopero generale del pubblico impiego contro un governo sempre meno amico.

Il primo anno di un'Unione senz'anima

Il governo Prodi ha festeggiato il suo primo anno di vita in tono dimesso, senza fuochi artificiali. Il segno più importante lasciato dal centrosinistra in questo primo scorci di legislatura è il ritorno a casa – si spera non momentaneo - di Silvio Berlusconi. Ma quando a ogni critica sulle iniziative fatte o non fatte dal governo ti senti rispondere «vuoi che torni il Cavaliere?», significa che qualcosa non sta funzionando. Fino a quando si potrà vivere di rendita, cioè sulla paura dell'uomo nero?
L'errore più grave dell'Unione consiste nel non essere riuscita a mobilitare e dare un ruolo a quella società civile che aveva sperato in un cambiamento profondo e per questo si era spesa, facendo vincere sia pure per soli 24 mila voti il centrosinistra.
Di scusanti se ne possono elencare molte, una è sicuramente vera: la coalizione che ha sconfitto Berlusconi è quanto di più eterogeneo si possa immaginare. Convivono componenti laiche e componenti legate a doppio filo al Vaticano, forze neoliberiste moderate con forze radicate nella storia del movimento operaio, partiti pacifisti con partiti "realisti" che al rifiuto della guerra aggiungono troppi se e troppi ma. Tenere insieme il diavolo e l'acqua santa era una condizione obbligata per vincere le elezioni. Vero, ma esisteva un programma comune, che troppo spesso eluso: sulle questioni sociali, sull'economia, sull'autonomia dagli Usa nella politica internazionale e dal papa Benedetto XVI sulle scelte "etiche". Un programma minimo, quello dell'Unione, che potrebbe comunque vedere la luce se solo si ascoltasse di più la propria gente, vivendo i movimenti sociali come opportunità e non problemi.
Incassato il ritiro dall'Iraq, un altro merito va riconosciuto al centrosinistra: il governo ha finalmente cominciato a mettere mano al problema scandaloso dell'evasione fiscale. In un anno sono entrati nelle casse dello stato 10 miliardi di euro non previsti in finanziaria, molti di più ne entreranno nel 2007, sempre pescati in quel pantano inesauribile rappresentato dall'evasione.
Il problema nasce al momento di decidere l'utilizzo di questo "tesoretto". I sindacati, sostenuti dalle forze della sinistra radicale e dalla neonata Sinistra democratica, chiedono un investimento finalizzato alla ricostruzione di un po' di giustizia sociale: sostegno allo striminzito welfare, alle pensioni minime, ai bisogni sociali (sanità, casa, sostegno al reddito), ai contratti. Ma il ministro Padoa Schioppa – un "tecnico" prestato alla politica – pretende invece di destinare i tre quarti del tesoretto alla riduzione del debito pubblico. Due approcci opposti.
In un anno non si possono fare miracoli, ma qualcosa sì. Una legge sul conflitto d'interessi prima del minacciato ritorno di Berlusconi; un superamento della legge 30 sul mercato del lavoro; una riforma democratica della legge di Maroni sulle pensioni. E infine: cosa si aspetta a definire una exit strategy dall'Aghanistan?

Pubblicato il

25.05.2007 03:30
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