Speriamo possiate comprendere il nostro anonimato

Dall'inizio di febbraio alla Swatch di Genestrerio capita un fenomeno che finora non si è riusciti a spiegare: diversi lavoratori soffrono di prurito, eritemi, lingua e gola gonfie, difficoltà respiratorie, vomito. La ditta ha consultato diversi specialisti, ma nessuno è stato capace di individuare la sostanza che ha causato questa specie di allergia. Si è pensato ai detergenti utilizzati per lavare i camici da lavoro, ai filtri per l'aria, ai deumidificanti contenuti negli imballaggi, ai topi. Niente. Sul procedere delle indagini la direzione informa regolarmente la stampa e i dipendenti. Questi ultimi, a parte qualcuno invitato a mettersi in malattia, nonostante tutto si presentano regolarmente al lavoro, per non rischiare il licenziamento.
Il 24 febbraio è giunto alle redazioni dei quotidiani un fax che incomincia così: «Buongiorno, siamo un gruppo di lavoratori della Swatch Group Assembly SA di Genestrerio. Stanchi della situazione sempre più inaccettabile con la quale siamo ormai "costretti" a convivere quotidianamente pur di mantenere saldo il nostro posto di lavoro…». La lettera non è firmata: «…speriamo possiate comprendere il nostro "anonimato" e vi ringraziamo per l'attenzione dedicataci…».
Lettere anonime, informazioni confidenziali, riunioni segrete, sotterfugi, bisbigli. Perché scegliere un modo di comunicare così umiliante? Il bene supremo per queste persone è il posto di lavoro; tutto il resto – il diritto alla salute, il diritto di parola, il diritto di eleggere dei rappresentanti che discutano da pari a pari con la direzione – potrebbe metterlo in pericolo.
Il posto di lavoro prima di tutto. Ma tale scelta comporta delle conseguenze. Se si rinuncia al diritto di parola, è la ditta che parla a nome dei dipendenti, ed è quello che sta accadendo in questa vicenda. Pubblicare o commentare una lettera anonima perché proveniente da "poveri operai costretti a farsi sentire in questo modo" è un atteggiamento paternalistico che non contribuisce alla serietà dell'informazione. Il linguaggio si degrada: quella che ha luogo quando è la direzione aziendale a convocare i dipendenti è una riunione in cui si ascolta e al massimo si domandano chiarimenti. L'assemblea è un'altra cosa: presuppone la libertà di parola. Il "gruppo di lavoratori", come si definiscono gli estensori della lettera, è costituito da 3 persone oppure 8, 15, 30? Non è dato sapere. La democrazia esigerebbe che si riunissero alla luce del sole e sul luogo di lavoro tutti i 185 dipendenti della ditta, e che il risultato della discussione giungesse alla stampa sotto forma di dichiarazione, non di "confessione".
Sulla paura non si può costruire niente. Alla base del vivere civile ci deve essere il coraggio, anche se costa, e come! Come la perdita del posto di lavoro, perché i padroni hanno il potere assoluto di licenziare. Lo sapeva bene Bill Arigoni, licenziato dalla Mikron di Agno negli anni '90 quando era presidente della commissione interna. La folla che si è radunata il 16 febbraio scorso a Lugano per salutarlo l'ultima volta ha voluto anche dirgli: siamo qui per ringraziarti, perché per tutta la tua vita hai dato voce al mondo del lavoro che in questo paese è condannato al silenzio.

Pubblicato il

05.03.2010 13:00
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