Sotto la pelle uomini fragili e pieni di paure

La giornata di Marco comincia con una manciata di pastiglie fra vitamine e integratori alimentari. Poi è il tempo del frullato a base di proteine in polvere. Indi le uova, dieci e strapazzate, che consuma senza pane. Sono tre anni che Marco non tocca il pane e cinque che non mangia un dolce. In famiglia nessuno riesce a ricordare l’ultima volta che ha partecipato ad un pasto conviviale. Lui mangia da solo e mangia ogni due ore, seguendo un regime alimentare iperproteico destinato ad aumentare la massa muscolare. Ogni giorno un chilo di carne bianca più tonno, fagioli e formaggio fresco. Cinque volte al giorno si infila sotto la doccia e ci resta a lungo. Il rito di lavarsi i denti prende trenta minuti, il risultato sul viso abbronzato dal Solarium è un sorriso che abbaglia come quello degli attori del cinema. E poi, la palestra. Che piova o nevichi, che abbia la febbre o sia ferito, Marco non rinuncia a due ore di sollevamento pesi e alla sua iniezione quotidiana di steroidi anabolizzanti. Si buca da solo, nel bagno di casa.


Marco ha venticinque anni ed è figlio della mia migliore amica. Ha cominciato a cambiare quando ha scoperto il body building. Il corpo sottile si è fatto possente, i suoi scatti d’ira sono leggendari: persino il mite gatto di casa si defila prudente quando Marco è nei paraggi. Che qualcosa non andasse, sua madre lo sospettava da tempo. La prima risposta è arrivata quando ha trovato le siringhe. Ma per ricevere una diagnosi ci sono voluti tre anni. Perché quelli come lui sono convinti di star bene. Anzi, benissimo. Siamo noi, gli altri, a non sapere cosa significhi praticare con rigore uno stile di vita salutare. E quindi Marco dai medici non voleva andarci. Secondo gli psichiatri che lo hanno preso in cura, però, Marco è malato. Ha una patologia relativamente nuova che ha tanti nomi: complesso di Adone, bigoressia o vigoressia, “reverse anorexia”, l’anoressia al contrario. Nella lettera­tura scientifica è apparsa nel 1993 e da allora è stata oggetto di una miriade di pubblicazioni. All’inizio si tratta di piccole ossessioni che non sembrano preoccupanti, si sa che durante l’adolescenza si fanno cose bizzarre. Col tempo l’anomalia diventa lampante, ma «un trattamento appropriato ha una durata media di due anni, perché bisogna lavorare sul nucleo della patologia, che è una profonda ossessione, pervasiva e persistente», spiega ad area Laura Dalla Ragione. La psichiatra ha scritto un libro sui ragazzi bigoressici per Il Pensiero Scientifico Editore, “Giganti d’argilla”. Dalla Ragione è un’esperta di disturbi alimentari nei giovanissimi e dirige a Todi la prima struttura pubblica a loro dedicata.


Nel complesso di Adone c’è una forte componente di “dismorfofobie muscolari”: quando Marco si guarda allo specchio, si vede diverso da come è davvero. Quei muscoli enormi, li vede piccoli e non abbastanza tonici. Pacifico, per chi osserva il fenomeno, che una certa cultura del benessere, della bellezza e delle palestre, sia incubatrice ideale della malattia. Possiamo puntare il dito sulla “società dell’immagine”, un mondo in cui comanda la poesia del “six pack”, quegli addominali così scolpiti da sembrare il guscio di una tartaruga, mondo governato dall’epica del talent show. Si fa presto a ipotizzare che giochino un ruolo debolezze caratteriali latenti che si fanno mostro. E salta agli occhi che, visto che colpisce praticamente solo individui di sesso maschile, il complesso di Adone deve avere a che fare con l’identità di genere. Dalla Ragione conferma: «Sono uomini fragili e pieni di paure, con il corpo che come nel femminile diventa teatro di conflitti e rappresentazioni. Corpo manipolato e levigato anche per i maschi, adolescenti e adulti senza distinzione di età e cultura».


Il patriarcato si dissolve e manca la bussola: «Sono uomini nuovi, che rifiutano vecchi schemi ma che non sono ancora dotati di un corredo psicologico tale da poterli rendere davvero diversi dai padri. Riflettendo su queste nuove patologie è necessario ricostruire il difficile percorso della strutturazione dell’identità al maschile, per comprendere perché improvvisamente gli uomini non siano più immuni, ma anzi si ammalino gravemente, con disturbi spesso difficili da trattare». Cambiamenti epocali che si riflettono nei numeri. Se fino a venti anni or sono su quindici pazienti malati di disturbi alimentari solo uno era maschio, oggi i ragazzi sono uno su quattro. «È difficile non correlare questo fenomeno al fatto che le preoccupazioni per il corpo, per la forma fisica e per l’apparenza in genere, fino al secolo scorso prerogativa quasi esclusivamente femminile, riguardano adesso anche i ragazzi. Oggi si parla giustamente di epidemia sociale», spiega la psichiatra, «perché i numeri sono enormi e perché è una malattia che si è diffusa con una velocità senza precedenti: i disturbi compulsivi alimentari sono aumentati del 300 per cento in dieci anni, solo in Italia si stima che siano tre milioni le persone che ne soffrono».


Paradosso beffardo per un maschio in cerca di maschile, gli anabolizzanti possono mettere a repentaglio la salute riproduttiva e spesso condannano chi li usa a vivere su un ottovolante sessuale, potenti appetiti alternati all’impotenza. D’altronde con questi farmaci i testicoli diventano piccoli e crescono le mammelle. Così Adone usa Viagra per prevenire le défaillances e l’oncologico Tamoxifene per contrastare l’incipiente seno.


Il poliabuso di farmaci è all’ordine del giorno per chi soffre di bigoressia. L’uno per contrastare gli effetti indesiderati dell’altro. Ma se il doping è un problema alle Olimpiadi, viene elegantemente ignorato dalle organizzazioni per lo sport amatoriale. Fra compagni di body building, così come fra ciclisti sfrenati o maniaci del jogging, vige una rigorosa omertà e una giustificata diffidenza verso “gli altri”. Dalla Ragione sottolinea che «quello maschile è un mondo più sommerso di quello femminile, perché i maschi si vergognano a chiedere aiuto». Fra pari, gli Adoni si incontrano volentieri, in palestra e su Internet, per scambiare consigli sulla dieta, l’allenamento e i farmaci. Sostanze associate a rischi gravi eppure incalcolabili, perché i dati che abbiamo sono spesso casi singoli e repertori di storie riferite da medici e malati. Casi riportati in letteratura, scientifica e no, che fanno venire la pelle d’oca. È assodato che chi usa anabolizzanti può sviluppare malattie degenerative del fegato e dei reni. Tragica, la devastazione che provocano sulla psiche. Un’altalena di eccitazione e depressione che può sfociare nel suicidio. Mentre lo scatto d’ira incontrollato ha un nome: “roid rage”, la rabbia da steroidi, ne riferiscono la letteratura biomedica e la cronaca nera. Gli studi sottolineano che, se non sappiamo molto sul rischio di morte prematura, sappiamo tutto sul rischio per la vita sociale. Perché non c’è interesse che possa competere con la magnifica ossessione del “super corpo”. Ma come si procurano questi farmaci, prodotti soggetti a prescrizione medica? Il Farmacista cantonale ticinese Giovan Maria Zanini se ne interessa da almeno vent’anni: nel lontano 1996 è intervenuto sulle farmacie ticinesi, obbligandole a rendere i controlli più rigorosi. «Nel giro di diciotto mesi dall’introduzione dei provvedimenti abbiamo osservato una netta riduzione della quantità di prodotti “da doping” dispensati dalle farmacie». Sarebbero pochi, comunque, i farmacisti e i medici compiacenti i quali, ricorda Zanini, «rischiano il ritiro dell’autorizzazione a esercitare». La gran parte di questo commercio si svolge tramite altri canali. «Spesso passano dai paesi dell’Est e intrecciano diversi mercati: doping-droghe-contraffazione-scommesse e la produzione di carne, ovvero anabolizzanti negli animali. La maggior parte se li procura comunque tramite Internet, tanto che non si intercettano più, come vent’anni fa, quantitativi importanti, piuttosto tante piccole confezioni». In Svizzera si tratta di reati in base alla Legge sulla promozione dello sport e, dove ci sia produzione, in base alla Legge sui medicamenti. Ma è come svuotare l’oceano con un ditale: «La stra-da può essere solo quella della collaborazione internazionale e uno strumento importante sarà la Convenzione Medicrime», auspica Zanini. Marco la scorsa estate ha trascorso sei settimane in una clinica psichiatrica, poi si è fatto dimettere. «La probabilità di recidiva e cronicità è alta, soprattutto se non si utilizzano terapie integrate», constata Laura Dalla Ragione. «L’approccio deve essere a 360 gradi, con tutte le figure necessarie: medici, psicologi, nutrizionisti, fisioterapisti». Non è un percorso semplice, ma «negli ultimi anni le terapie per i disordini alimentari si sono specializzate, i risultati sono oggi davvero confortanti dove l’approccio sia multidisciplinare. Altrimenti, vediamo spesso che la patologia non viene sconfitta, ma solo tamponata».

Pubblicato il

17.02.2016 21:36
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