In occasione di una giornata di studio tenutasi recentemente all'Università di Zurigo, uno dei partecipanti ha affermato che lo stato di salute della lingua italiana nel mondo è influenzato dall'immagine negativa che di sé dà, oggi, l'Italia. Mi sembra un'affermazione dettata dall'intelligenza e dal buon senso. L'ho ascoltata alla radio, nel corso di una trasmissione dedicata a quel simposio, al quale non ero presente. L'opinione era seguita dalla voce dell'ambasciatore d'Italia in Svizzera, contrariato. Sembrava la voce del colonizzatore nei confronti del colonizzato. Il suo intervento  confermava proprio ciò che aveva appena detto il ticinese: che l'Italia sta passando un periodo negativo. A parte la mancanza di spirito diplomatico dell'ambasciatore, incapace di accogliere una critica,  c'è da constatare anche una preclusione mentale: perché si sa che la lingua ha a che fare con la società. Già Gramsci aveva messo in rilievo il nesso tra lingua e questione sociale. Ed è evidente che lingua non significa solo letteratura: il linguaggio è la base delle relazioni umane ed è strettamente connesso con la vita di ogni giorno della comunità, con la situazione politica; e un paese dalla classe politica corrotta può far disamare  la sua lingua.
Questo episodio può sembrare banale. È invece spia di un ampio disagio che si respira oggi in un paese retto da un regime senza dignità e dove addirittura alcuni parlamentari vorrebbero abrogare la norma che vieta la ricostruzione del partito fascista e le leggi penali contro l'apologia del fascismo. La cultura fa difetto ai potenti, che dovrebbero nutrirsene. E visto che si sta avvicinando la "Giornata mondiale del libro", anche se personalmente credo poco a queste ricorrenze, chiedo che ci si dia da fare per diffondere la cultura.  E, oltre a ciò, che ci si occupi  più seriamente del dramma dell'analfabetismo di ritorno, o funzionale, un male dilagante anche nei paesi avanzati e nelle  classi sociali alte, come ha dimostrato Tullio De Mauro. In Italia e in Svizzera: perché anche da noi la cultura è ritenuta fiore all'occhiello, anziché alimento vitale.
Con "diffondere la cultura" intendo: offrire a tutti gli strumenti per arricchire il proprio spirito,  occuparsi del bene comune,  capire il mondo nel quale viviamo,  intriso di pregiudizi, volgarità, superficialità. Per noi ticinesi fondamentale è la lingua italiana; ma non quella degli arroganti. Non quella del presidente onorario dell'Udc che scrive su un nostro giornale: "So da tempo immemorabile che gli intellettuali, ma meglio sarebbe parlare di pseudo-intellettuali, sono una delle tante piaghe che affliggono l'umanità". Una frase che evoca sinistri fantasmi.

Pubblicato il 

15.04.11

Edizione cartacea

Rubrica

Nessun articolo correlato