L'editoriale

Settanta franchi al mese in più di Avs per tutti come contropartita all’innalzamento dell’età pensionabile delle donne da 64 a 65 anni, al taglio delle pensioni e a un nuovo aumento dell’Iva, la più antisociale delle tasse. Sta prendendo questa forma il progetto del consigliere federale socialista Alain Berset “Previdenza vecchiaia 2020”, che mira a riformare congiuntamente l’assicurazione vecchiaia (cioè l’Avs, il primo pilastro) e la previdenza professionale (cioè la pensione, il secondo pilastro) per assicurarne il finanziamento fino al 2030. Questo è perlomeno il “compromesso” scaturito dai lavori della Commissione della sicurezza sociale e della sanità (Csss) del Consiglio degli Stati e che pare mettere tutti d’accordo sotto la cupola di Palazzo federale, compresi i parlamentari del Partito socialista (Ps).

 

Un dato questo che lascia perlomeno di stucco, tenuto conto che il Ps (insieme con il movimento sindacale) le medesime misure contenute in questa riforma le ha combattute con veemenza fino all’altro ieri, riuscendo oltretutto a costruire su questo i suoi unici successi degli ultimi anni in sede di votazioni popolari.


Commentando le recenti decisioni della commissione, il Ps parla di “successo parziale”, di “simmetria dei sacrifici”, di “riforma equilibrata”: davvero incomprensibile se si guarda ai contenuti della stessa. Certo, è la prima volta da oltre vent’anni che un organo delle Camere federali aumenta la mensilità Avs, ma il valore di questa decisione è puramente simbolico. È solo fumo negli occhi, perché per il pensionato sarebbe come ritrovarsi in una tasca 70 franchi e vedersene sfilare altrettanti (se non di più) dall’altra.


Basti pensare che il progetto prevede una riduzione del cosiddetto tasso di conversione minimo del secondo pilastro (quel valore percentuale che determina la pensione annua in proporzione al capitale accumulato) dall’odierno 6,8 al 6 per cento: in concreto questo significa che con un capitale di 250.000 franchi il pensionato cui oggi è assicurata una pensione di 17.000 franchi si ritroverebbe con una pensione di 15.000. I 70 franchi al mese in più di Avs  non basterebbero a compensare questa perdita. E oltretutto dovrebbe fronteggiare un aumento generalizzato dei prezzi dei beni di consumo, considerato il previsto ritocco verso l’alto dell’Iva (dello 0,7%), una tassa uguale per tutti e indipendente dal reddito, dunque fortemente anti-sociale.


Ma la vera mannaia del “pacchetto Berset” è riservata alle donne, che con l’aumento dell’età pensionabile a 65 anni vedrebbero accentuarsi le gravi disparità di cui sono vittime.   

Sia come salariate (guadagnano mediamente il 20% in meno degli uomini) sia come pensionate, visto che devono accontentarsi di pensioni molto più basse dei colleghi uomini a causa delle discriminazioni subite nella vita professionale. Oltretutto, la soluzione “equilibrata” uscita dai lavori della commissione prevede che l’operazione di innalzamento dell’età pensionabile avvenga in quattro anni e non in sei come proponeva il Consiglio federale.


Sì, ma c’è sempre la possibilità di andare in pensione in anticipo, dirà qualcuno. Questo è vero, ma con decurtazioni della pensione che vanno fino al 20 per cento, il che rende di fatto la flessibilità un diritto per pochi benestanti.


Quello di Berset più che un “pacchetto” è un “pacco”, una fregatura. Così come si presenta, non ha nulla di meglio dell’11esima revisione dell’Avs bocciata dal 68% degli svizzeri nel 2004 e della revisione della Legge sulla previdenza professionale (che prevedeva un tasso di conversione del 6,4%) spazzata via dal popolo con il 73% di no nel 2010.

Pubblicato il 

27.08.15
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