La scuola come azienda fornitrice di servizi al cittadino-cliente (e quindi orientata ai bisogni dell'economia) oppure una scuola come istituzione educativa e culturale della società ticinese?  È questa una delle domande di fondo che si è posto il Gruppo di lavoro – composto da docenti dalla scuola dell'infanzia fino all'università – che ieri ha presentato a Locarno il documento «Identità professionale del docente» su mandato del Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport (Decs).
Un'identità professionale che il corpo docente non ha mancato in questi anni di denunciare come minata. Il disagio è palpabile. Non solo a seguito di concezioni imprenditoriali della scuola, ma anche dai tagli messi a preventivo annualmente proprio alla voce "settore scolastico". Misure che non hanno fatto altro che acuire il disagio della scuola, sia di chi vi insegna che di chi vi impara hanno in sostanza affermato in questi anni le associazioni dei docenti e i sindacati di settore. Il grido d'allarme degli insegnanti di fronte ai problemi sociali che vengono importati direttamente sui banchi di scuola e sulla difficoltà di dare seguito al proprio mandato formativo sono finora rimasti lettera morta. La scure delle difficoltà finanziarie cantonali è stato un deterrente alle riforme chieste a gran voce da più parti. Così di fronte a bisogni crescenti – riconosciuti dallo stesso Dipartimento (si veda il riquadrato in pagine) – la società ticinese investe meno proprio sulla formazione.
Nel 2006 il Decs aveva deciso a seguito delle animate discussioni sorte sul tema – e sotto la spinta di associazioni come il Movimento per la scuola, nata proprio a seguito dei famigerati tagli messi a preventivo per il 2004 – di dare mandato ad un gruppo di docenti di elaborare un documento che fosse di stimolo per una discussione sul disagio della scuola, sul ruolo del corpo docente e soprattutto di formulare delle proposte concrete al Dipartimento per rivalutare una figura professionale fondamentale per la società. Il rapporto finale è stato consegnato un anno fa e verrà ora presentato in sei tappe sul territorio ticinese.
Ma come è cambiato il ruolo del docente? In cosa consiste questo disagio? Quali sono le proposte operative per cambiare rotta? E soprattutto, quali sono le possibilità che le proposte non rimangano lettera morta per l'ennesima volta? Risponde Anna Biscossa, docente e membro del gruppo di lavoro che ha stilato il rapporto.

Anna Biscossa per quale motivo è stato necessario istituire un gruppo di lavoro sull' "identità professionale del docente"?
È una richiesta precisa che è sorta all'indomani dei famigerati tagli nel settore scolastico che erano stati messo a preventivo per il 2004. Allora il Movimento per la scuola, ma anche sindacati e altre associazioni, avevano chiesto una riflessione sul ruolo del docente che aveva sicuramente perso quel suo ruolo fondante che aveva fino ad un passato non troppo remoto.
Cosa è cambiato per rapporto a questo passato?
Oggi al docente non è più riconosciuto il suo vero ruolo. Viviamo in una contraddizione di fondo. Da un lato l'insegnante non lo si vuole più vedere come una figura importante nella vita di ogni individuo, anche se di fatto accompagna qualsiasi persona come minimo dai 6 ai 15 anni. Dall'altro lato però sulla scuola, e sul docente in particolare, la società vuole appoggiarsi per risolvere tutte le difficoltà di relazione, di educazione e di formazione. Al docente viene quindi chiesto non solo di svolgere al meglio il suo ruolo formativo, ma di farsi carico di tutta una serie di disagi dell'alunno e della realtà che lo circonda. È una dismissione della società nel suo insieme. Così da un lato il docente è quello privilegiato, che lavora poco, che ha 3 mesi di vacanza all'anno, dall'altro però deve essere in grado di affrontare i problemi legati alla violenza, alla droga, all'anoressia, eccetera oltre che insegnare la sua materia. Ecco in questa veste un docente non può mai essere adeguato: non possiamo essere assistenti sociali, sessuologi, dietisti, psicoterapeuti e consulenti famigliari. Il corpo docente vive questo disagio diffuso.
Nel rapporto scrivete che il docente deve essere «un maestro e non un semplice facilitatore o trasmettitore di nozioni» e che «è evidente che questo non può essere messo in atto da chi intende e vive l'insegnamento come un impiego, una routine, un mestiere acquisito una volta per tutte». È una critica al corpo docenti?
No, è piuttosto una critica indirizzata al Dipartimento che non vuole riconoscere l'importanza che deve avere la formazione continua. Fare il docente non è un lavoro che può diventare una routine e affinché non lo diventi bisogna dare la possibilità che l'insegnante possa ampliare le proprie conoscenze, sulla sua materia di insegnamento, ma anche sui fenomeni sociali e culturali. Abbiamo bisogno di nuovi strumenti per fare al meglio il nostro lavoro.
Fra le priorità operative avete infatti individuato quella della formazione professionale che a vostro parere andrebbe rafforzata, ma la legge concernente l'aggiornamento dei docenti dice è che il docente stesso ad essere responsabile del proprio aggiornamento. Cosa non funziona in questo sistema?
Un conto è fare dei piccoli corsi di aggiornamento e un altro quello di coinvolgere un docente in una formazione continua. Questo non significa unicamente poter seguire dei corsi scientifici sulla materia di insegnamento. Anche solo organizzare un progetto all'interno della scuola con i propri alunni può essere formativo per il docente, perché può interagire a livelli diversi da quelli consoni com i ragazzi. Ma nella scuola di oggi questi progetti non sono permessi, non vengono riconosciuti. Oggi un giovane docente che vuole iniziare l'insegnamento ha un anno di formazione obbligatoria presso l'Alta scuola pedagogica, dopo di ché è il buio più assoluto. Il docente deve essere continuamente sollecitato perché il suo ruolo è quello di essere un "maestro", nel senso alto del termine.
Lei prima diceva che la società demanda i propri disagi alla scuola e agli insegnanti. In fondo con questa visione del "maestro" accettate l'idea che il docente dovrebbe davvero diventare anche un'assistente sociale, uno psicoterapeuta, un sessuologo, eccetera…
No, non si tratta di questo. Noi abbiamo bisogno di fare i maestri, aggiornandoci, riflettendo, acuendo la nostra sensibilità anche verso queste forme di malessere. A scuola dobbiamo soprattutto impegnarci a trasmettere la capacità di conoscere ai nostri allievi. Non si può negare però che il docente abbia un osservatorio privilegiato per riconoscere dei problemi che vanno al di là di quelli dell'apprendimento. Non chiediamo la dismissione da questa responsabilità, non vogliamo chiudere gli occhi. Abbiamo però bisogno di poter riconoscere questi fenomeni, di avere gli strumenti per poter reagire e soprattutto una rete sociale che possa poi farsi carico di questi problemi. Anche questa è formazione come la intendiamo noi. La frustrazione e il disagio dei docenti nasce dalle lacune in questa rete di sostegno.
Quali sono queste lacune?
Oggi abbiamo bisogno di garantire alla scuola una rete di servizi di accompagnamento e di sostegno psicosociale in grado di rilevare le difficoltà e di fornire poi risposte adeguate. Oggi dopo le 5 di sera, una volta usciti da scuola è il vuoto. La rete di sostegno deve essere presente sul territorio perché i problemi veri sono quelli che si verificano la sera dopo che il ragazzo è uscito dalla scuola. I problemi e i guai poi ci sono anche il sabato e la domenica. Oggi questa rete è inadeguata. Paradossalmente essa sostiene chi è già nei veri guai, per quelli che avrebbero bisogno di aiuto perché in bilico non esiste nulla. Sono destinati a farsi male prima di essere aiutati. Non parliamo poi di coloro che frequentano le scuole dopo i 17 anni, per questi studenti vengono forniti gli stessi servizi rivolti ad un 45enne in difficoltà. Ma i problemi di un giovane sono diversi da quelli di un adulto.
Nel documento di lavoro scrivete che la scuola attualmente vive un doppio disagio. Da una parte un disagio generato nella scuola stessa e dall'altro uno che viene importato e che ci ha appena descritto. In cosa consiste quello insito nella scuola?
Non bisogna dimenticare che la formazione stessa e quindi la scuola possono provocare stress nei ragazzi. A scuola ci sono delle prove da superare, delle performances da fornire. Ci sono le relazioni sociali che si instaurano e che possono essere fonte di tensioni. La scuola è una struttura che chiede ai giovani di conformarsi a dei modelli.
Il gruppo di lavoro critica la visione della scuola come un'azienda al servizio di cittadini-clienti e fra le righe fate intendere che questo modo di concepire la formazione è uno dei problemi alla base del disagio della scuola. A chi è rivolta questa critica ?
Le faccio un esempio per essere concreti. Prendiamo la riforma Harmos di cui tanto si discute oggi. Vede alla base di questa politica vi è l'idea di un insegnamento mirato ai bisogni dell'economia. Si deve studiare l'inglese, il francese, il tedesco e saper "camminare sulla punta dei piedi" perché serve alle aziende. Sono idee come queste che sviliscono il ruolo formativo del corpo docente. Abbiamo un compito più complesso che rispondere a delle esigenze clientelari. La cultura non serve a riempire test quantitativi, ma ad affrontare la vita.
Il gruppo di lavoro ha messo sul tavolo delle proposte concrete, come ad esempio il potenziamento della rete di sostegno o la formazione continua per i docenti. Quale seguito hanno avuto le vostre proposte?
Il documento è stato apprezzato dal dipartimento. Purtroppo però ci è già stato ventilato che qualsiasi riforma deve avvenire a costo zero. La questione finanziaria è già stata messa avanti. Le dirò di più, all'interno del nostro gruppo avevamo deciso che uno di noi doveva occuparsi in maniera più sistematica del mandato, per questo aveva chiesto un piccolo sgravio dall'insegnamento. Non è stato concesso e questo la dice lunga a mio avviso. Si deve pensare bene a cosa si intende quando si afferma che si vuole "investire nella scuola" affinché non siano le solite parole al vento.

"Stress e bornout sono realtà"

Nel documento "Identità professionale del docente" si segnala tra l'altro anche la situazione di stress crescente, di esaurimenti  lavorativi (bornout) nel corpo docente. Esiste un modo per quantificare questo fenomeno? «Non ci sono cifre che possano testimoniare fedelmente questa realtà – spiega ad area Diego Erba, a capo della Divisione della scuola  –. Tuttavia non posso negare che una forma di disagio e di stress fra il corpo docente del canton Ticino esiste e che è crescente. Questo fenomeno deve sicuramente far riflettere».
I docenti lamentano infatti sempre più un eccessivo carico di stress nello svolgimento del proprio lavoro. Segnalano i casi sempre più numerosi di giovani problematici, di atti di violenza e di situazioni famigliari precarie che li portano ad esaurirsi più facilmente. Le conseguenze – si legge nel rapporto – sono importanti, non solo in termini di salute per la persona colpita, ma anche per la qualità dell'insegnamento.

Pubblicato il 

03.10.08

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