Schiaffi a Berlusconi che ride

I due schiaffi a Silvio Berlusconi, alla fine, gli italiani e le italiane glie li hanno dati. Alle elezioni europee la Casa delle libertà ha visto annullato il vantaggio che tre anni fa le aveva consegnato il governo del paese e a Strasburgo il Cavaliere potrà contare solo su 36 seggi contro i 37 dell’opposizione. Da ciò si evince che l’Italia resta un paese spaccato a metà, soprattutto se si tiene conto dei due seggi conquistati dalle destre dichiaratamente e irriducibilmente fasciste, i due seggi residuali dei radicali (ne avevano otto) e quello insensatamente confermato del partito dei pensionati. Chi si aspettava una secca sconfitta di Forza Italia e del suo monarca assoluto è rimasto più che soddisfatto: con il 21 per cento dei consensi, Berlusconi scende ben al di sotto del 25 per cento che aveva promesso e perde 4 milioni di voti rispetto alle politiche del 2001. Una débâcle, solo in parte tamponata dal recupero dei democristiani dell’Udc, della Lega grazie all’effetto Bossi (la malattia del leader maximo della Padania ha garantito un voto d’appartenenza) e in parte di Fini. E dire che Berlusconi aveva chiesto in tutte le salse e le Tv, con i messaggini sms e i comizi al seggio, con le bugie e la strumentalizzazione degli ostaggi liberati dall’Iraq, di votare i partiti maggiori. Cioè, per lui e basta. Per questo lo schiaffo sul volto dell’Unto del Signore fa ancor più male. Chi invece si aspettava un’opposizione sopra il 50per cento dovrà fare i conti con la politica: l’Italia non è la Spagna, Prodi non è Zapatero, il nostrano triciclo si è presentato senza un programma alternativo, dubbioso sulla guerra e il ritiro delle truppe dall’Iraq, aggrappato all’Onu che non esiste più, se non come foglia di fico dell’Impero. Un triciclo senza un programma alternativo sul versante economico e sociale, subalterno al liberismo sia pure in versione soft. Così è successo che gli elettori hanno premiato con un ricco 13 per cento le forze a sinistra del listone, o triciclo che dir si voglia, fermo a un deludentissimo 31 per cento dei voti. Hanno poco da cantar vittoria, Prodi, Rutelli e Fassino: il bipolarismo è stato sconfitto dagli italiani di destra come da quelli di sinistra. Eppure fingono, gridano al sorpasso pur avendo raccolto meno consensi di quanti ne avessero i soci fondatori del progetto riformista, Ds, Margherita e i socialisti dello Sdi. E vaneggiano una costituente per dar corpo al partito democratico che non c’è e in pochi vogliono. A sinistra ha raccolto i maggiori consensi Rifondazione comunista, che con più del 6 per cento dovrà farsi carico di una proposta politica di riaggregazione delle forze legate a una concezione più radicale e più vicine ai movimenti della società, da Melfi a Scanzano, dal pacifismo alla democrazia sindacale. Rispuntano i troppo rapidamente archiviati 11 milioni di voti al referendum per estendere l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (contro i licenziamenti ingiusti) alle aziende con meno di 16 dipendenti. La soluzione non è la sommatoria delle sigle, Prc più Pdci, più Verdi, più la deludente lista Di Pietro-Occhetto ma l’avvio di un processo riunificate a partire dalla società, dal territorio, dai movimenti reali. Una bella partita da giocare, difficile, stimolante, che impone a ciascuno di gettare alle ortiche settarismi ed egemonismi. Il secondo schiaffone a Berlusconi è arrivato dallo scrutinio del voto amministrativo. La destra perde la Sardegna, dove il candidato di centrosinistra e Rifondazione supera il 50 per cento. E ancora, 18 città capoluogo vanno all’opposizione al primo turno contro le 6 conquistate dalla Casa delle libertà e le 6 dove sarà necessario il ballottaggio. Nelle grandi città, la svolta è ancor più netta: Bologna con Cofferati torna nel suo alveo naturale, a sinistra, con il successo straordinario dell’ex segretario della Cgil (ed ex leader possibile e sognato dell’opposizione italiana a Berlusconi), Sergio Cofferati. Addirittura a Bari sfonda il centrosinistra che conquista con ampio margine di scarto il comune, idem a Padova e a Caltanisetta. A Firenze sarà necessario un ballottaggio scontato, solo perché il triciclo aveva rifiutato un accordo con la sinistra radicale, con l’esito che il primo si ferma al 49 per cento e la seconda supera il 12 per cento. Al primo turno, 102 comuni all’opposizione contro i 14 della destra e 89 al ballottaggio. Infine, le provincie: 38 all’opposizione, 3 a Berlusconi, 22 al ballottaggio. Presentandosi da soli, i Ds hanno preso più voti che alle europee mentre la Margherita ha perso più d’un petalo. Berlusconi ha ammesso la sconfitta “personale” e sarà costretto di rivedere i rapporti con i suoi baldanzosi e rissosi alleati. Ha chiesto tutto per sé e s’è trovato con in mano un pugno di mosconi. Massimo dell’oltraggio, Sua Emittenza, il re del video, ha preso meno voti di preferenza della conduttrice tv Lilli Gruber e dell’odiato Michele Santoro. La prima cosa che le opposizioni, tutte, dovrebbero fare ora è lavorare per anticipare la caduta del governo prima della scadenza naturale del 2006. Obiettivo possibile, pur sapendo che se Berlusconi è stato sconfitto, il berlusconismo ha ancora radici profonde in mezzo paese e qualche clone all’opposizione. L’Europa dei popoli ha detto la sua sull’Europa politica (si fa per dire). Ha detto che l’intesse per un progetto più attento ai desiderata dei banchieri e degli industriali che non ai bisogni delle persone in carne ed ossa è davvero basso e coinvolge meno della metà della popolazione. Con l’eccezione dell’Italia in cui più del 70 per cento degli aventi diritto ha infilato la scheda nell’urna – vuoi per una maggiore abitudine e politicizzazione del voto, vuoi perché la sfida europea associata a quella amministrativa serviva soprattutto a regolare i conti in casa – gli europei hanno pressoché disertato il voto, a Ovest e ancor più a Est, tra i nuovi paesi membri dell’Unione allargata a 25. La bassissima partecipazione si spiega in molti modi. Con la prevalenza dell’aspetto monetario su quello sociale e politico (e la Costituzione europea, a che punto è?), con l’attaccamento all’idea dello stato nazione, con le politiche neoliberiste, con l’assoluta mancanza di una politica internazionale comune che rende nei fatti l’Unione europea subalterna alla politica estera nordamericana. Il clamoroso flop a Est, dove l’effetto prima volta ha convinto tra il 20 e il 30% per cento dei cittadini, si spiega soprattutto con la disillusione rispetto al sogno di emancipazione da un passato difficile, che veniva fatto coincidere con un miglioramento della qualità della vita. I governi di destra come di sinistra che sono seguiti alla caduta dei regimi del socialismo reale sono ostaggi nelle mani delle grandi istituzioni internazionali, Fondo monetario e Banca mondiale, che impongono privatizzazioni e soluzioni economico-sociali responsabili di un terremoto devastante, impoverendo ulteriormente gli strati più esposti della popolazione e arricchendo pochi, distruggendo risorse e aspettative. Prima che membri dell’Europa, questi paesi sono diventati soci poveri della Nato e il mandato ricevuto è a portare la voce dell’America nel riottoso Vecchio continente. Da qui il disamore dell’Europa centro-orientale, o euroscetticismo che dir si voglia. Il secondo dato politico del voto europeo, a Est come a Ovest, è che tutti i governi sono stati bocciati: dalla Francia alla Germania alla Gran Bretagna, dall’Italia alla Polonia. Sarà perché le politiche sociali non sono poi così diverse, tra destra e sinistra? Una sola eccezione riguarda il voto spagnolo: qui, nonostante la bassa partecipazione, l’effetto Zapatero non si è esaurito e i socialisti si confermano la prima forza politica spagnola. Per gli ottimisti è il permanere dell’ostilità alla “guerra preventiva” da parte della popolazione, per i pessimisti la ragione risiede nel fatto che il neoeletto Zapatero non ha fatto in tempo a mettere in tavola tutte le sue carte, la sua politica economico-sociale. Morale, un’Unione delegittimata dal basso avrà una presenza conservatrice ancora più marcata, 277 seggi al Partito popolare (a cui si aggiungono valanghe di liberali, euroscettici e razzisti) contro i 200 dei socialisti (più i 39 eurodeputati della Gue e i 40 dei Verdi). Non è una bella prospettiva, ma è quella che abbiamo e in cui dovremo lavorare di buona lena.

Pubblicato il

18.06.2004 03:00
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