Scenari di tensione

Un’esplosione nella notte fa saltare in aria un motorino, qualche cassonetto dell’immondizia e manda in frantumi i vetri dei palazzi nelle vie adiacenti. «Un atto dimostrativo» lo definiscono a caldo gli inquirenti. Il luogo è di quelli che più simbolico non si può: il Viminale, sede del ministero degli interni occupato dal ministro forzista Scajola. L’attentato di martedì non è che un nuovo capoverso di un copione già scritto, il copione di una tragicommedia all’italiana che ci rimanda con la memoria agli anni bui, quando i servizi segreti decidevano la politica, la vita e la morte di questo paese. Sarà difficile per il governo e per gli inquirenti dimostrare che i responsabili della provocazione, o dell’avvertimento che dir si voglia, sono terroristi di al Qaeda declassati da distruttori delle Twin Towers a distruttori di cassonetti romani. Non saranno piuttosto militanti no global? Oppure, come Berlusconi si è già preoccupato di denunciare, gli allievi dei «cattivi maestri» che hanno organizzato la manifestazione milanese di domenica al Palavobis? Minacce in crescendo Negli ultimi giorni il crescendo di minacce e provocazioni è impressionante. Partiamo dal contesto sociale e politico, lo scenario in cui si dipana il copione. Il presidente Silvio Berlusconi mette a segno nuovi attentati alla democrazia; mentre scriviamo, in Parlamento le destre stanno votando da sole una legge sul conflitto d’interessi che se la situazione non fosse drammatica farebbe ridere: la proprietà (per esempio di reti televisive) non determinerebbe un conflitto d’interessi (per esempio nella persona del capo dell’esecutivo). Contemporaneamente il governo riesce a spaccare i sindacati attraendo nella sua orbita le due confederazioni minori, Cisl e Uil, mentre la Cgil rispetta gli impegni presi con i suoi 5,5 milioni di iscritti e indice uno sciopero generale nazionale in difesa dello Statuto dei lavoratori, contro la volontà del governo di abolirne l’articolo 18, quello che garantisce il reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa, e cioè per rappresaglia politica o sindacale, per maternità, per dispetto… Mentre il paese si prepara allo sciopero generale, a cui i sindacati di base, organizzazioni di massa come l’Arci e il popolo no global con tutte le componenti dei social forum danno la loro convinta adesione, si mette in moto un protagonismo inedito della società civile: nel decennale di Tangentopoli si concretizza un movimento di solidarietà ai magistrati messi sotto tiro da Berlusconi che riempie le piazze italiane con girotondi e manifestazioni. Solo a Milano scendono in campo – espressione cara al cavaliere – in quaranta mila. Sono «la società civile», professionisti, ceti medi, sensibili al richiamo di volti noti e amati come il regista Nanni Moretti o il premio Nobel Dario Fo, o di intellettuali della sinistra moderata come Paolo Flores D’Arcais, o di professori come il gruppo fiorentino, che lanciano una dura critica ai gruppi dirigenti dell’Ulivo, divisi, incapaci di fare oggi opposizione come ieri di governare, responsabili dell’ascesa e del trionfo delle destre. Gruppi dirigenti che hanno sottovalutato il rischio Berlusconi-Bossi-Fini, un’infezione che rischia di isterilire la democrazia italiana e contagiare l’Europa. I fischi fiorentini al presidente dei Ds Massimo D’Alema, l’uomo della Bicamerale e dell’inciucio con Berlusconi, sono sintomatici. La sicurezza del presidente del consiglio comincia a vacillare. È vero che l’opposizione politica non gli fa paura, sterile com’è, e che i numeri in Parlamento danno ragione alle destre; ma è anche vero che se si rimette in moto la società civile, se la Cgil coagula la protesta dei ceti più aggrediti dalla politica economica e sociale del governo, se le piazze tornano a riempirsi, rischia di tornare il fantasma del ’94, quello del 25 aprile a Milano, del tradimento di Bossi, della fine del primo governo Berlusconi. Ecco dunque che le tentazioni autoritarie si fanno sentire. Il ministro degli interni Scajola, a freddo, manda un messaggio inquietante al paese attraverso i giornalisti: a Genova, durante i giorni tragici e straordinari del G8 di luglio diedi ordine di sparare, se necessario, per difendere Bush e gli altri premier dagli attacchi di un terrorismo infiltrato dentro i 300 mila pacifici manifestanti. Scajola disse di aver dato quell’ordine dopo che i carabinieri avevano assassinato Carlo Giuliani (ovviamente usando parole diverse, ma il cronista ha il dovere di chiamare i fatti con il loro nome). Pochi giorni e molte polemiche dopo, Scajola si rimangiò le sue dichiarazioni ma il messaggio al paese e alle piazze ormai era stato lanciato: attenti, abbiamo usato le armi e le possiamo usare di nuovo, anche contro manifestanti pacifici, ieri antiliberisti domani magari lavoratori e sindacalisti. Secondo atto: il ministro della difesa Castelli commenta i quarantamila di Milano che chiedono giustizia giusta uguale per tutti definendoli terroristi potenziali, o virtuali, o magari già reali. Caccia ai marocchini Nel frattempo vengono arrestati un po’ di marocchini che abitano a Roma in un alloggio dove è stato trovato materiale utilizzabile per attentati e un «tuttocittà» dov’è segnata la sede, pensate un po’, dell’ambasciata degli Stati uniti in via Veneto. Altri tre marocchini ricercati si consegnano spontaneamente dichiarandosi del tutto estranei alle cose loro attribuite e sostengono di non avere alcunché a che fare con al Quaeda. Si cerca di ricostruire un clima di paura, del tutto funzionale se non a svolte autoritarie a una riduzione della democrazia e della libertà di movimento. Infine, l’attentato dimostrativo al Viminale di martedì, praticamente annunciato dal governo. C’è di che stare svegli la notte. Tornano alla mente le parole bibliche – mutatis mutandis – di quel saggio burlone di Stefano Benni, scrittore affermato non solo in Italia: «Chiedete giustizia, sarete giustiziati». Berlusconi: «divide et impera» Forse queste sono preoccupazioni eccessive, fobie di una società, quella italiana, troppo abituata a vedere i processi di crescita democratica e di partecipazione popolare spezzati da interventi traumatici, operati da forze «oscure» avvezze a rimestare nel torbido. Per il potere i nemici della democrazia ieri erano anarchici, oggi no global. Ma anche islamici naturalmente, e perché no, operai in lotta o ceti medi che ritrovano una dignità assopita. Resta il fatto che il governo Berlusconi ha fatto il pieno di opposizioni sociali che possono finalmente collegarsi in un movimento maturo e robusto, mentre le forze politiche d’opposizione, con le dovute piccole eccezioni, latitano e si dividono. Lo andiamo scrivendo da mesi in questo giornale perché questo è il problema principale della democrazia italiana, qui sta la ragione della vittoria di Berlusconi e oggi della sua pericolosità. Prima di pensare a svolte autoritarie Berlusconi utilizza la fragilità dell’opposizione politica e la divide: firma un contratto spregiudicato per i dipendenti del pubblico impiego per isolare la Cgil, coopta nel nuovo consiglio d’amministrazione della Rai due figure vicine rispettivamente ai Ds e alla Margherita per sterilizzare la protesta contro l’occupazione del sistema informativo pubblico, che si vuole omologato a quello privato già in mano a Berlusconi (ma la proprietà, oltre a non essere un furto non determina conflitto d’interessi, lo dirà una legge dello stato in votazione in questi giorni). Rogatorie, rientro di capitali dall’estero, eliminazione della tassa di successione, sterilizzazione partigiana della giustizia, sono una delle due facce della medaglia di Arcore. Nell’altra faccia c’è il liberismo feroce, la demolizione del welfare state, la privatizzazione della scuola, l’attacco alle pensioni e alla sanità (il ministro Sirchia annuncia nuovi ticket), la deregulation con conseguente precarizzazione del mercato del lavoro e la libertà di licenziamento servita ai padroni su un piatto d’argento. In tanti, forse addirittura la maggioranza degli italiani, stanno scuotendosi dal torpore e il re rischia di apparire per quel che è, nudo. C’è chi teme che, esaurite le carte della democrazia per strappare il consenso sociale, Berlusconi possa cambiare mazzo. Per questo l’attentato dimostrativo al Viminale fa paura, come le parole di Berlusconi, Scajola e Castelli.

Pubblicato il

01.03.2002 06:00
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