Non è passata inosservata, l'estate appena trascorsa, la dichiarazione del Ministro dell'Interno italiano Roberto Maroni, il quale ha sottolineato come il 2010 sia stato il primo anno con zero sbarchi di immigrati a Lampedusa. Un'implicita celebrazione del patto Italia-Libia, che secondo le attese, a nostro parere disattese, avrebbe dovuto risolvere la problematica dei flussi migratori dalle coste dell'Africa Settentrionale. A forza di rimpatri o fermando "i viaggi della speranza" sul nascere, sembra quasi il Bel Paese e l'Europa intera possano essere salvati dalle "invasioni degli stranieri" o da altri spauracchi, riscaldati ancora e ancora dai nostri media, sempre pronti, titolo alla mano, a raccontare di "assalti", "aggressioni" o altre sciagure, giunte a vele spiegate sui barconi dei "disperati" o "dei clandestini". Sebbene i passaggi di testimone tra le motovedette libiche e quelle italiane, leggasi 'respingimenti', siano riusciti a ridimensionare i numeri dei flussi migratori, che comunque continuano con le stesse modalità di prima ma con meno fragore mediatico, il problema di fondo rimane lo stesso, solo che un po' più lontano dalle nostre coscienze, salvate dal bombardamento di immagini cui sono state sottoposte nel passato. Bambini in lacrime, uomini e donne stremati che si aggrappano ai soccorritori, spesso avvolti da una coperta che li riscalda dopo giorni e giorni di traversata su un vascello malridotto, puzzolente e paurosamente sovraffollato. Tutto ciò è finito, o meglio lo spettacolo degli sbarchi ha lasciato il palcoscenico televisivo, trasformandosi di punto in bianco in una questione marginale. Attenzione però! Le navi continuano a salpare, le coste del Nord Africa sono ancora meta di rifugiati, molti in fuga da Paesi in guerra, dalla fame, dalla disperazione, da soprusi che noi neanche immaginiamo, di quelli che si vedono solo in certi film col bollino rosso.

Ebbene, malgrado quanto si tenti di far credere, la splendida isola di Lampedusa anche quest'anno è stata raggiunta dalle barche degli immigrati, in più occasioni, anche se con minore frequenza rispetto al recente passato. È quanto spiega Giacomo Sferlazzo, 30enne isolano, coordinatore dell'associazione Askavusa (A piedi scalzi), che da anni si occupa di immigrazione con altri giovani. "Ci sono stati una dozzina di sbarchi quest'anno – spiega, commentando le dichiarazioni del Ministro dell'Interno –. Gli immigrati quando approdano vengono presi in consegna direttamente sulla banchina e tradotti a Porto Empedocle (Sicilia ndr), dove ha sede uno dei principali centri di accoglienza italiani". Nella struttura dell'isola delle Pelage non ci mettono neanche piede, per cui non risultano registrazioni, ed ecco che i dati ufficiali parlano di zero sbarchi a Lampedusa.

Qualcuno nell'isola, sentito nei giorni precedenti, aveva additato il problema dei migranti come causa di un calo di immagine per la località, a danno di un turismo che quest'anno sembra essersi ripreso. "Non posso pensare che i vacanzieri snobbino Lampedusa per via degli sbarchi – replica Sferlazzo –, ciò che mina l'immagine locale sono forse le costruzioni abusive presenti ovunque. Poi la sporcizia sulle strade, servizi scadenti, mancanza di regolamentazione delle spiagge". L'immigrazione dunque, per un numero sempre maggiore di persone, a partire dai giovani, non è una zavorra da trascinarsi appresso, o un handicap con cui convivere.

L'esperienza degli sbarchi può diventare un'opportunità di crescita, basta non annientare la memoria, magari riducendola in cenere come è accaduto nella discarica dell'isola. Ne parlo con Mauro Seminara, giornalista locale, il quale racconta come all'alba del 10 settembre, ignoti abbiano incendiato gran parte dei relitti delle navi degli immigrati. C'èrano decine, forse centinaia di imbarcazioni, da quelle piccole simili a zattere, a veri e propri battelli di 20 metri di lunghezza. "Una ditta di Agrigento aveva ottenuto l'appalto e i soldi per la rimozione e lo smaltimento delle carcasse – spiega Seminara –. Dopo il rogo non è rimasto quasi più nulla da ripulire. È la seconda volta che capita in pochi anni". Gran parte di quelle imbarcazioni potevano essere esposte nel museo cui Askavusa sta lavorando da tempo. Una sorta di percorso della memoria, rivolto tanto agli adulti quanto ai giovani, dove mettere in relazione l'immigrazione umana a quella naturale. Lampedusa infatti è da secoli meta dei viaggiatori del Mediterraneo, che qui hanno cercato riparo dalle tempeste, trovato acqua e cibo, allo stesso modo di molte specie di uccelli migratori, soliti fare tappa sull'isola durante il lungo viaggio tra l'Africa e l'Europa Settentrionale. "Abbiamo presentato un progetto ben articolato al comune cittadino – spiega il referente di Askvauza –, ma non siamo nemmeno stati considerati. Vorremmo un'area a nostra disposizione in cui creare un'esposizione, ma l'amministrazione continua a tacere". Il museo dovrebbe essere diviso in tre sezioni: una riservata all'esposizione dei relitti; un'area destinata agli artisti, cui commissionare opere che  diano nuova vita ai reperti; infine un archivio e centro di ricerca sui flussi migratori nel Mediterraneo. Negli anni, i volontari di Askavusa hanno raccolto centinaia di reperti frugando nei barconi abbandonati, come passaporti, lettere scritte in tante lingue diverse, poi foto e testimonianze di immigrati dell'Iraq, del Bangladesh, dell'Eritrea, della Tunisia e del resto dell'Africa.

Qualche tempo dopo la presentazione in municipio del progetto di Askvauza (tuttora in attesa di risposte), l'amministrazione comunale ha fatto conoscere a mezzo stampa l'intenzione di creare il proprio museo dell'immigrazione. Un piano annunciato dall'assessore al turismo Busetta, già impegnato in altre importanti iniziative di valorizzazione del territorio, come la costruzione di un Casinò e un campo da golf. "Bene se l'amministrazione vuole dar vita al proprio museo – conclude Sferlazzo –, basta non si confonda la salvaguardia della memoria con un'attrazione per turisti!". 

Alle porte dell'inverno, dei migranti passati per Lampedusa rimangono i relitti delle barche abbandonate nella discarica, e le tombe senza nome al cimitero, contenenti tante, troppe persone rimaste uccise nelle trasparenti acque del Mediterraneo.

Pubblicato il 

05.11.10

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