Sull'Intercity Ginevra-Basilea è facile addormentarsi, la neve del Giura mi riempie gli occhi, finché crollo sul libro. Davanti a me un ragazzone, che anche lui deve aver dormito male la notte scorsa: pallido, occhiaie, aria preoccupata. Rompo il silenzio: quel silenzio innaturale che spesso incombe negli scompartimenti dei treni, dove si evita di guardarsi in faccia. Quel silenzio che talvolta io cerco per rifugiarmi nella lettura, ignorando chi mi sta vicino. Ma stavolta, no: il ragazzo mi guarda come per interrogarmi. È inquieto. Parliamo e vengo a sapere un po' della sua storia.
Filippo è figlio di pugliesi. Nato a Milano, si è laureato in ingegneria al Politecnico e ora è disoccupato. Ha lavorato qua e là, poi si è trasferito a Ginevra, dove vive in un foyer religioso per cinquecento franchi al mese. Un ambientino accogliente, dove poco fa uno degli ospiti "è andato fuori di cozza", dice, e ha cercato di dar fuoco alla baracca. Ma sono accorsi i pompieri. Ora è  tutto a posto.
Per non farsi prendere dal sole nero, Filippo va a fare foto in campagna. La sua passione è la vela: va allo Yacht Club di Ginevra e, quando passano gli straricchi con i cabinati tipo Alinghi, lui punta l'obiettivo. "Il cannone", dice. Allora per un momento il sole brilla davvero.
Tiene la parola, il mio ingegnere: trauma infantile? Ora è diretto a Basilea per un colloquio: è un continuo chiedere colloqui... Sul tavolino davanti a lui giace un plico di documenti dentro una mappetta di plastica: titoli di studio, curriculum, certificati. Il plico è voltato sottosopra, perché lo scritto rimanga nascosto a occhi indiscreti.
Durante l'ultimo colloquio, quella delle risorse umane gli ha detto: "Voi italiani andate d'accordo con i portoghesi". Filippo non ha capito. E l'altra ha aggiunto: "Volete tutti la stessa cosa". La sua scrivania era ingombra di trecentocinquanta incarti di candidati a un posto di lavoro. Filippo, ingegnere laureato al Politecnico di Milano, ha continuato a non capire; con il suo pulloverino da bravo ragazzo e il gel sui capelli e le occhiaie angosciate e il tic che lo fa balbettare, non può essere piaciuto a quella delle risorse umane.
Ora il mio velista immaginario guarda dal finestrino le onde innevate dei pascoli: la sua barca è là, arenata sugli scogli. Può avere l'età di mia figlia minore, l'età di chi cerca lavoro e non lo trova. Ma non demorde. "Sono ottimista" dice, con un'esitazione delle labbra. Poi mi spiega la teoria dei quanti e la nanotecnologia, io faccio finta di capire.
"Viene a pranzo al vagone ristorante?"  chiedo.
"No. Ho fatto una colazione della madonna, stamattina" balbetta, mentre la barca è sempre ferma sugli scogli.

Pubblicato il 

10.02.12

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