Colletti sporchi

Hanno riciclato più di 10 milioni di euro d'origine criminale nelle banche ticinesi. Ma i colpevoli, persone considerate vicine alla criminalità organizzata napoletana, non andranno dietro le sbarre. Per lo meno in Svizzera. Come reso noto il 30 luglio da Gotham City, due fratelli italiani sono infatti stati condannati dal Ministero pubblico della Confederazione (Mpc) a sei mesi di prigione con la condizionale. Una condanna che appare leggera, ma che va controbilanciata dall'importante confisca dei prodotti del reato: circa 8,6 milioni di franchi depositati sui conti bancari ticinesi, ai quali vanno aggiunti un milione di franchi e diverse centinaia di migliaia di euro in contanti, orologi e diversi diamanti. Valori patrimoniali, questi, che finiranno nelle casse della Confederazione.

 

L'inchiesta elvetica era inizata nel 2015, dopo una segnalazione della Direzione distrettuale antimafia di Milano. Gli inquirenti italiani avevano scoperto una banca clandestina gestita da persone vicine alla camorra, dove decine di imprenditori in difficoltà avevano ricevuto enormi prestiti con un interesse del 40%. Filippo Magnone, considerato il riciclatore del cosiddetto gruppo della Banca de la Camorra, risiedeva in Ticino dove gestiva una società di Lugano. Da qui la segnalazione a Berna. L'indagine svizzera è stata aperta dapprima contro i fratelli Magnone e contro il padre, poi è stata estesa a cinque persone attive sulla piazza finanziaria ticinese.


La Procura federale in questi anni ha già condannato tre operatori di cambio del Sottoceneri per carente diligenza in operazioni finanziarie e diritto di comunicazione. Nel settembre 2018, una signora attiva presso una fiduciaria del Luganese è stata assolta dal Tribunale penale federale: era accusata di riciclaggio, ma la gran parte dei fatti imputatili erano ormai prescritti.

 

Quest'anno il focus degli inquirenti federali si è spostato sui principali protagonisti dell'affare, i fratelli Magnone. Il 10 giugno, il procuratore federale Sergio Mastroianni ha firmato due decreti d'accusa: documenti che abbiamo potuto consultare in maniera anonimizzata e che descrivono nel dettaglio le diverse transazioni illecite effettuate attraverso conti aperti in diverse banche ticinesi. Decine e decine di transazioni in contanti, versamenti, prelievi e trasferimenti spezzettati, che si sono protratti per dieci anni, dal 2005 al 2015. La Svizzera, e il Ticino in particolare, come il luogo ideale per fare transitare o depositare, anche con l'aiuto di terzi, il denaro sporco in modo da renderne difficile l'accertamento dell'origine, il ritrovamento e la confisca. Denaro sporco che, in questa vicenda, proveniva da una somma di 28,4 milioni di euro, originati da un'immensa frode all'Iva in Italia (la cosiddetta frode carosello).

 

I due fratelli, si legge nel decreto d'accusa, “agendo come membri di una banda costituitasi per esercitare sistematicamente il riciclaggio di denaro” hanno usato la piazza finanziaria ticinese, così come strutture giuridiche elvetiche “utilizzate all'occasione (…) con lo scopo di far pervenire in Svizzera parte dei valori patrimoniali provento dei reati di associazione a delinquere finalizzata all'omessa dichiarazione e alla emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”. Per questa frode Filippo e Matteo Magnone sono già stati condannati in Italia. Proprio per questa condanna (che si aggiunge a quelle inflitte per la vicenda della Banca della Camorra), e “visto il lungo tempo trascorso e l'atteggiamento collaborativo” degli imputati, la pena inflitta dalla Procura federale è tutto sommato mite.

 

Se la magistratura svizzera sembra riluttante a punire troppo duramente chi viene a nascondere il proprio denaro illecito nella Confederazione, non si può dire così, questa volta, per l'utilizzo dello strumento della confisca. Diversi milioni di franchi ancora presente sui diversi conti bancari aperti in Ticino, ma anche di vere e proprie mazzette (per un totale che supera il milione di franchi e i 600mila euro) finiranno nelle casse federali. Così come diversi orologi, 20 diamanti e 36 certificati di diamanti ritrovati in alcune cassette di sicurezza. L'inchiesta ha infatti stabilito che circa mezzo milione di franchi sporchi sono stati investite nell'acquisto di pietre preziose. Una persona, proprietaria di due società ticinesi attive nel commercio dei diamanti, è ancora sotto inchiesta da parte della Procura federale proprio per non aver verificato l'origine di questo denaro. Insieme a questo imprenditore delle pietre preziose, altre due persone sono ancora sotto inchiesta per questa vicenda.

 

Pubblicato il 

02.08.20
Nessun articolo correlato