Grande la confusione sotto il sole sulle app di “tracciamento contatti” che i governi ci propongono di installare. La novità rientra nelle straordinarie misure pandemiche e lascia con il fiato sospeso ogni persona che di sicurezza digitale si sia mai (pre)occupata. C’è che appena una manciata di mesi orsono sarebbe stato impensabile chiedere al popolo di condividere via smartphone dati sensibili per eccellenza come quelli che riguardano la salute. Il tracciamento dei contatti, poi, è terreno scivoloso sotto il profilo dei diritti fondamentali: è possibile farlo garantendo il rispetto della privacy? Non sono domande peregrine – a prescindere dalla gravità del momento, sono questioni importanti sulle quali è giusto esigere risposte chiare, perché la storia ci insegna che i provvedimenti introdotti in stato di emergenza passata la buriana tendono a restare. Lo abbiamo visto con l’11 settembre, che ci ha lasciato in dote un aumento esponenziale della sorveglianza. Passata la pandemia, passerà anche l’utilizzo di questo strumento di controllo di massa? Già sappiamo che Apple e Google faranno in modo che possa rimanere fra noi.
 
Entrambi i giganti hanno infatti introdotto nei loro sistemi operativi modifiche che consentono l’utilizzo dei protocolli di tracciamento dei contatti sui loro dispositivi. Non ci libereremo quindi, né facilmente, della Corona-App, a prescindere da cosa ne sarà stato del virus. Ad Elvezia, SwissCovid, disponibile da ieri, e già oggetto di controversia fra addetti ai lavori. Notizia di metà giugno, il conflitto che contrappone in Vallese l’incaricato alla privacy Sébastien Fanti e l’esecutivo cantonale. Quest’ultimo ha invitato i collaboratori che lo desiderino a testare la App, mentre Mister Privacy raccomanda loro di non farlo, appoggiandosi a dubbi su privacy e sicurezza sollevati da un gruppo di esperti Epfl. Vale davvero la pena interessarsi al tema e pretendere trasparenza. Ma se i media se ne stanno occupando, come di consueto sui temi specialistici si legge tutto e il contrario di tutto. Una risorsa di qualità è “Guerre di Rete”, la newsletter della giornalista italiana Carola Frediani che racconta ogni domenica fatti e misfatti della vita digitale con parole semplici, pur senza rinunciare alla solidità delle informazioni e mettendo a disposizione di chi desideri approfondire una pletora di risorse. Gli ultimi numeri contengono tutto quello che volevamo sapere, ma non osavamo chiedere sulle app di contact tracing: https://guerredirete.substack.com/. La novità è in definitiva l’ennesima buona occasione per riflettere su quale ruolo vogliamo che le tecnologie giochino nelle nostre vite, quali limiti delle nostre libertà fondamentali siamo disposti ad accettare, e quali vogliamo siano le regole del gioco. Essendo “affari nostri”, è innegabile che possiamo e dobbiamo avere voce in materia. Momento storico ideale allora per godersi la lettura di un libro bello e geniale. “Internet, Mon Amour. Cronache prima del crollo di ieri” si apre con un immaginario scenario post catastrofale. Dopo la Grande Peste di Internet «un gruppo di hacker, artiste e smanettoni si rifugia in un luogo remoto fra le valli alpine, fuori dai radar e dai droni» per raccontarsi storie attorno ai nostri amati-odiati amici digitali.
 
L’espediente narrativo di classica memoria ci porta per mano alla scoperta di una moltitudine di informazioni cruciali sulla nostra quotidiana vita online. Dai gruppi WhatsApp alle reti wi-fi pubbliche, dai social network al cyberbullismo, a cosa sa di noi lo smartphone, l’amico più spione che c’è. Illuminante e didattico, grazie alla penna magica di Agnese Trocchi il libro è piacevole come una gazzosa fredda in spiaggia d’estate. Un po’ romanzo e un po’ manuale, “Internet Mon Amour” si può ordinare o leggere gratuitamente online (https://circex.org/it/ima/) ed è una creatura della ‘pedagogia hacker’ di C.I.R.C.E., un collettivo che offre laboratori di «informatica conviviale per tutte le persone curiose di conoscersi meglio, e conoscere meglio le macchine con cui vivono».

Pubblicato il 

26.06.20
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