Quelli che inquinano e si arricchiscono (per davvero)

Due fatti emersi in questi giorni permettono commenti “rovesciati” rispetto alle idee dominanti.
Il primo. Un ex-impiegato federale mi dice che i “negri” proprio non può vederli. Che cosa ci vengono a fare qui, “inquinano” e ci costano.  Nelle valli è un discorso ormai comune, non ammette repliche. In città è pure prevalente, anche se in sottofondo, per convenienza.

 

Una documentata inchiesta svolta durante tre anni da Public Eye permetterebbe di rovesciare quel discorso. Sul lago Lemano abbondano società, alcune molto importanti, che commerciano materie prime in tutto il mondo e fanno affari d’oro (il Ticino ansioso vorrebbe ora imitarle, rimediando ai tonfi della piazza finanziaria). Due di esse, Vitol e Trafigura, hanno acquisito una posizione dominante nell’importazione e distribuzione di prodotti petroliferi. Quelle due società (che possiedono pure partecipazioni in società di produzione africane, pipelines, flotta di navi cisterna, una vasta rete di stazioni di servizio), vendono nei paesi del continente nero carburante mescolato con prodotti buon mercato fortemente tossici (come una sostanza ad alto tenore di zolfo, mille volte superiore alle norme europee o statunitensi).

 

Con questi sistemi la società svizzera Trafigura (Vitol non pubblica i suoi dati) realizza in Africa una cifra d’affari annua di 14,4 miliardi di dollari (2015). Si sa che per ogni nave cisterna il profitto netto supera i 7 milioni di dollari. Con un paradosso: il petrolio prodotto in Africa è esportato grezzo in Europa per essere… raffinato con quelle aggiunte mefitiche ma redditizie. In estrema sintesi: società, attirate e favorite da una fiscalità quasi inesistente in Svizzera, fanno montagne di soldi con i neri africani, corrompendoli e privandoli dei loro beni, inquinandoli senza ritegno per fare maggiori utili. Trarre una conclusione da una situazione rovesciata rispetto al benpensare della cosiddetta “gente”provoca una domanda scappatoia: che cosa c’entra? C’entra, eccome!


Il secondo. La globalizzazione è stata venduta come l’apertura mondiale dei mercati, il libero scambio arricchente per tutti, la concorrenza che elimina monopoli ed oligopoli, crea competitività, porta prezzi più bassi, potere d’acquisto. Ci abbiamo creduto. Troppi fatti dimostrano il contrario. Si son messi in concorrenza tra di loro i lavoratori, alla ricerca del lavoro a minor costo, questo è vero. Si sono concentrati i produttori, creando nuovi oligopoli, stati tra gli stati. Ultimo esempio, il gigante tedesco dell’agrochimica, Bayer, produttore di pesticidi, acquista il gigante americano, Monsanto, numero uno mondiale delle sementi, principale fornitore di organismi geneticamente modificati (ogm), produttore di erbicidi micidiali (Roundup), per 66 miliardi di dollari.

 

Se tutto andrà in porto ci sarà la smentita più mirabolante del mito benefico della globalizzazione: avremo la massima concentrazione mondiale del mercato delle sementi, dei brevetti agrochimici e delle royalties in questi campi; ci ridurremo per ricerca di profitti a un pugno di specie ibride ad alto rendimento, ad una riduzione delle piante coltivate e sarà una grave  minaccia per la sicurezza alimentare; avremo l’effetto più devastante della globalizzazione, l’omogeneizzazione, anche in natura; il prezzo gigantesco pagato per l’acquisto che è 30 volte superiore all’utile annuale del gruppo americano, è indicazione di un inevitabile forte aumento del prezzo delle sementi, a danno dei paesi più poveri. Quale altra dimostrazione rovesciata ci vuole ancora per contrastare un’economia squilibrata e disumana?

Pubblicato il

22.09.2016 14:08
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