“Non dormi per la mancanza d’aria, il caldo insopportabile, le cimici, mentre per lavarti hai quel filino d’acqua gialla che scende dalle docce. Non ce la facevo più a vivere così, sottoterra”. Tra la trentina di partecipanti al presidio del Collettivo R-esistiamo di oggi sotto gli uffici del Dss a Bellinzona per chiedere la chiusura del bunker di Camorino, a portar la solidarietà vi era anche chi quell’esperienza l’ha vissuta sulla propria pelle, abitando per mesi sottoterra in quel bunker nel recente passato.

 

Mesi, malgrado la Commissione nazionale per la prevenzione della tortura abbia reso attenti le autorità federali nel non superare il tetto massimo di tre settimane nell’alloggiare i richiedenti nei bunker sotterranei. In primavera, un centinaio di medici ticinesi aveva chiesto l’immediato trasferimento delle persone nel bunker in alloggi sopra la terra per ragioni mediche. L’appello era rivolto alle autorità cantonali, responsabili del bunker di Camorino.

 

Autorità cantonali silenti su quanto stia accadendo a Camorino dopo lo sciopero della fame deciso dai richiedenti per protestare contro le condizioni di vita all’interno della struttura sotterranea, aggravatesi con l’ondata di caluria. Dalle informazioni raccolte dai simpatizzanti del Collettivo, si sa che dopo la protesta, gran parte dei richiedenti sono stati trasferiti nei centri cantonali sopra la terra, mentre nel bunker attualmente vi soggiornerebbero ancora otto persone. Dovevano essere nove, ma uno di loro è stato arrestato e, si presume, trasferito in uno dei centri di detenzione amministrativa (ossia l’incarcerazione fino a 18 mesi senza aver commesso alcun delitto, se non l’essere sprovvisti dei documenti amministrativi). Il Collettivo teme sia una rappresaglia contro chi ha avuto il coraggio di protestare.

 

Tace pure la Croce Rossa Ticino, a cui il cantone aveva affidato la gestione del bunker di Camorino. Stando alle informazioni raccolte dal collettivo R-Esistiamo, mai smentite, da giovedì 27 giugno la Croce Rossa avrebbe smesso di occuparsi dell’assistenza all’interno del bunker, compresa quella sanitaria.

 

Tace anche l’autorità politica. A due riprese la scorsa settimana il collettivo ha scritto al capo del Dss, Raffaele De Rosa, invitandolo a un incontro chiarificatore, a cui però il consigliere di stato non ha dato finora seguito.

 

Se da Palazzo delle Orsoline tutto tace, una risposta l’ha invece data la società civile. Il consiglio parrocchiale di Camorino ha messo a disposizione dei richiedenti un locale nelle ore in cui sono obbligati ad abbandonare il bunker (dalle 7 alle 21), cioè quando sono costretti a vagare senza alternative. Avendo il divieto di lavorare e non percependo alcuna diaria, abbandonati a se stessi, i migranti non sanno come occuparsi la giornata, se non cercare riparo dal caldo e inventarsi un luogo dove fare i propri bisogni fisici. All’uscita mattutina dal bunker, il Cantone si limita a fornirgli un paido di bottigliette d’acqua e un panino per la giornata. «Queste sono condizioni che nessun essere umano deve essere costretto a vivere. – scrive il Collettivo al consigliere di stato De Rosa – Sono condizioni che rasentano la tortura fisica e psicologica». Chiudere il bunker subito è l'unica soluzione, conclude il Collettivo R-Esistiamo.

Pubblicato il 

02.07.19
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