L’arresto del dottor Werner Nussbaumer ha rilanciato il dibattito sull’uso medico della canapa indiana. L’ex deputato dei Verdi in Gran consiglio per anni ha prescritto medicamenti a base di canapa vantandone le virtù terapeutiche in casi particolari. Oltre a 26 giorni di carcere preventivo e alla sospensione cautelativa dell’autorizzazione a esercitare, la sua testardaggine – «ho sempre ammesso che sapevo di infrangere la legge» ha detto il medico di Gravesano ad area (n. 25, 20 giugno 2003) – gli è valsa le accuse di infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti e di riciclaggio. In effetti, in attesa di una modifica di legge attualmente allo studio che ne revochi il divieto, l’uso medico della canapa e dei suoi prodotti è proibito in Svizzera. L’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) può accordare autorizzazioni eccezionali solo se la canapa viene impiegata nella ricerca scientifica o per provvedimenti di lotta alle dipendenze. L’Ufsp può invece autorizzare un medico a somministrarne il principio attivo (il Thc), ma solo a condizioni assai restrittive. Tuttavia, come sottolinea il farmacista cantonale aggiunto Giovan Maria Zanini nel recente rapporto del Gruppo di lavoro sulla canapa istituito dal Consiglio di Stato, «per alcuni pazienti isolati la canapa costituisce un’alternativa intreressante o necessaria», soprattutto per alleviare nausea e vomito indotti da una chemioterapia o da agenti antitumorali. Qui di seguito il collega Eros Costantini racconta ai lettori di area com’è riuscito ad attenuare gli effetti collaterali di una chemioterapia facendo ricorso alla canapa indiana. Sono punibile per aver fumato spinelli per quasi tre mesi nella primavera del 1997? Non lo so. Quello che invece so, è di essere riuscito con quegli spinelli ad attenuare incredibilmente, e a volte ad aver abolito in quei tre mesi, i pesanti contraccolpi della chemioterapia a cui mi sottoponevo settimanalmente. Non ho alcuna competenza medica e nemmeno da sciamano, ma di una cosa sono ben cosciente: negli ultimi mesi della chemioterapia quella canapa, marijuana o haschish (non so nemmeno fare la differenza) mi ha aiutato incredibilmente a rintuzzare feroci nausee e a soffocare gli estirpanti conati di vomito che mi perseguitavano nei primi tre giorni dopo il trattamento: cioè gli effetti collaterali della chemioterapia. A consigliarmi quella cura (posso chiamarla così o rischio qualcosa?) è stata una dottoressa di Ginevra in collaborazione con un medico ticinese che me l’ha fatta avere (credeteci o no) gratuitamente. Grazie a quegli spinelli ho accantonato le inutili pillole dalle controindicazioni inquietanti e assai costose, benché pagate dalla cassa malattia. Non sono medico né sciamano né speleologo della psiche e non so dire se quel beneficio sia stato magari anche effetto di autosuggestione o cosa. Di certo so comunque che quegli spinelli mi hanno fatto bene, non mi hanno creato alcuna dipendenza e finita la chemioterapia non ne ho più fumato uno. Curioso, scettico e un tempo pure esperimentatore a volte spericolato, mi era capitato un paio di volte in Sud America di aver saggiato (ma solo saggiato) alcune droghe. Devo essere allergico agli effetti canapa, poiché già allora trovavo più stimolante una Gaulois o una Marlboro (scusate la pub) che non uno spinello. Questi mi si è invece dimostrato efficacissimo quale prodotto anti-effetti collaterali della chemio. A parte le ovvie considerazioni morali e sociali, sono psicologicamente avverso a ogni sostanza che possa alterare il mio naturale, quanto discutibile, equilibrio psichico e fisico (e soffro come una penosa contraddizione il fatto che io mi droghi abitualmente, sia pure con giudizio, di alcol, caffè e profumo di donna). E tuttavia, d’istinto, dopo quella mia esperienza terapeutica (lo si può dire?), sarei favorevole a una legalizzazione controllata delle droghe leggere. A Zurigo ho vissuto vari anni accanto al dantesco parco di drogati del Letten,e credo di essere stato il primo cronista televisivo ad aver presentato (e accusato di infangare l’immagine della Svizzera) quanto avveniva nella bolgia del Platzspitz. Ritengo quindi di avere un’infarinatura del problema e di capirne la vastità che tocca i costi imposti alla società per ogni tipo di vita “spericolata” e magari firmata. Per concludere: sarà una considerazione molto personale la mia, ma è quella che mi sono fatta dopo quella dura esperienza e l’aiuto datomi da quegli spinelli. A mio parere la lotta contro l’uso terapeutico della marijuana è principalmente commerciale: il suo costo limitato mette in crisi il grande e caro mercato di certi farmaci. Su tutto il resto si può discutere ed è utile farlo, anche se qualcuno magari trova che è più facile proibire che convincere.

Pubblicato il 

04.07.03

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