Quanta insicurezza dalle agenzie private

Il direttore di un'agenzia di sicurezza rinomata come Securitas che ordina di distruggere il cartello di una ditta concorrente; agenti di una piccola agenzia prima licenziati e poi assunti come liberi professionisti indipendenti. Infine, la recente inchiesta della magistratura ticinese con tanto di arresti su lotte intestine tra le agenzie di sicurezza operative nei locali notturni cantonali. Sono fatti che sollevano forti perplessità  sulla professionalità nel settore della sicurezza privata, spesso chiamata ad assumere compiti delicati per i quali ci si aspetterebbe un alto grado di formazione e serietà.   

La prima vicenda di cui narriamo riguarda la Securitas, l'agenzia di sicurezza privata nazionale che attraverso una fitta rete di sotto- ditte controlla di gran lunga il settore. La storia, che risale al 2009, è rivelatrice della scarsa protezione (e comprensione) di cui godono i dipendenti che informano la dirigenza di atti illegali perpetrati dai diretti superiori aziendali. Veniamo ai fatti.
Il direttore di una filiale della Securitas ordina al suo dipendente di far sparire il cartello (perché di questo si tratta) di una ditta concorrente su un cantiere dove entrambe le aziende forniscono un servizio. «Distruggilo, senza farti prendere via» sono le testuali parole scritte via mail al suo subordinato. Il dipendente, probabilmente timoroso di disobbedire al suo direttore, esegue. Ma solo parzialmente, poiché invece di distruggere il cartello dell'agenzia rivale, lo porta negli uffici dell'agenzia per cui lavora. Un quadro intermedio della stessa ditta (che chiameremo Piero), sorpreso dalla presenza del cartello concorrente nell'ufficio, chiede informazioni e scopre quanto accaduto.
Indignato, Piero informerà un massimo dirigente nazionale della società. «Nonostante la mia preoccupazione per l'impiego e le ripercussioni che potrebbe avere per me e la mia famiglia – scriverà il quadro al dirigente nazionale dopo avergli esposto in maniera ben documentata la vicenda –, non intendo essere complice di questo fatto che mi ha profondamente deluso e si discosta totalmente dai valori trasmessimi dai miei genitori e che io stesso cerco ogni giorno di trasmettere ai miei figli». Un gesto coraggioso motivato dalla fedeltà all'azienda, nel timore che una tale azione, se resa pubblica, ne avrebbe potuto danneggiare seriamente l'immagine. Di tutt'altro avviso l'alto dirigente, che lo accusa di pregiudizio, odio e mancata lealtà nei confronti del suo direttore. Accuse che Piero respinge sdegnato in una missiva inviata al massimo dirigente dopo un colloquio fra i due. Alcuni stralci della lettera spiegano le motivazioni che avevano spinto Piero a segnalare l'episodio: «Al primo posto ritengo di dover essere leale con me stesso e la mia coscienza. Al secondo posto l'azienda per cui lavoro e difendo gli interessi, anche a costo di rischiare il posto di lavoro».
Tornando sull'episodio del cartello, forse paragonabile a un furto, quindi un atto illegale ordinato al suo subalterno dal direttore di un'agenzia di sicurezza, si ha l'impressione che il dirigente nazionale abbia cercato di sminuirne la portata, banalizzandolo. Un metro di giudizio non sempre rispettato all'interno di Securitas, stando a quanto scrive ancora Piero: «Sappia che ho visto padri di famiglia piangere perché licenziati per aver sottratto due fette di carne e un panino, per un'antenna satellitare presa dai rifiuti di un grande magazzino... E la lista potrebbe essere lunga».
Aggiungiamo altri elementi forse utili al lettore per formulare un giudizio sulla vicenda con cognizione di causa.   
Il direttore che aveva ordinato di rimuovere il cartello era da poco tempo entrato in carica, in sostituzione al precedente direttore andato in pensione. Un nuovo stile dirigenziale non apprezzato da molti collaboratori, e foriero di un forte disagio all'interno della filiale. L'episodio del cartello fu la ciliegina sulla torta di un comportamento considerato dai più poco consono alla professionalità dell'agenzia di sicurezza.
Non fu dunque il solo Piero ad aver preso posizione sulla vicenda del cartello rubato, esponendosi in prima persona. Altri colleghi al pari indignati hanno trovato il coraggio di manifestarsi, di cui area ha raccolto le testimonianze. Un coraggio non evidente, come scrive ancora Piero. «Vorrà capire che con una famiglia a carico e in tempi di crisi economica nessun impiegato in Ticino , dove notoriamente gli stipendi sono inferiori e la disoccupazione è alta, ha intenzione di esporsi e rischiare il posto».
E qual è stata la reazione della direzione nazionale di Securitas alla segnalazione? Due consulenti esterni, "neutri" anche se pagati da Securitas, furono incaricati di valutare l'episodio del cartello e l'ambiente lavorativo della filiale. Il risultato fu piuttosto sorprendente. Il direttore fu assolto,  tanto che ancora oggi occupa il suo posto, mentre gli altri collaboratori si sentirono sotto pressione e giudicati colpevoli per aver fatto il loro dovere. Piero, ad esempio, oggi ha un altro posto di lavoro.
Alcuni però furono meno fortunati e licenziati qualche mese dopo, con motivazioni generiche tipo "ristrutturazione aziendale". E ancora oggi ne pagano le conseguenze perché non trovano lavoro. A livello psicologico, il colpo fu duro per tutti. Si sentono traditi dalla famiglia, perché tale consideravano la Securitas dopo decenni di onorato servizio.

La replica:
Securitas ci ha fornito la seguente presa di posizione: «Securitas  non può né ricostruire né confermare le informazioni riguardanti una storia risalente a tre anni fa. Questo necessiterebbe una ricerca nel passato. Nel nostro lavoro quotidiano capita sovente che dei mandati di sorveglianza cambino di prestatori e che degli autocollanti o targhette siano rimpiazzati, sempre in accordo con il cliente. Stando a queste condizioni, Securitas non vede il motivo di commentare questa inchiesta, né di lanciarsi in ricerche. Ciò avverrebbe solo se un cliente o un'impresa ci sottoponesse la domanda».

Da Sky sentinel a Maba in un giorno

Il mattino lavori per un'agenzia, nel pomeriggio per un'altra. Cambia la divisa, ma il datore di lavoro è il medesimo. È la bizzarra vicenda accaduta a una ventina di dipendenti di un'agenzia di sicurezza, la Sky sentinel di Lugano, dei quali abbiamo raccolto le testimonianze.
Una mattina di settembre del 2009, i dipendenti ricevono una singolare chiamata: «A mezzogiorno presentati in sede. Ci sono novità importanti». Arrivati in ufficio, viene loro spiegato che nel pomeriggio non dovranno più indossare la divisa della Sky sentinel ma quella di un'altra ditta, la Maba Multiservice. Il motivo è presto detto: la Sky Sentinel è fallita. Clienti e dipendenti ora dovranno rapportarsi alla Maba, ditta iscritta al registro di commercio nove mesi prima dai medesimi titolari della defunta agenzia. Il cambio non è indolore. Regnerebbe un certo caos nella transizione. Non tutte le divise della nuova ditta sarebbero pronte e quindi ci si presenta abbigliati in modo raffazzonato. Alcuni clienti poi si sarebbero alquanto stupiti nel vedere gli stessi agenti con l'insegna di un'altra agenzia. Ma questi son dettagli di forma, mentre ben più gravi sarebbero state le ripercussioni per i dipendenti. Sciolto il normale rapporto di lavoro con la vecchia Sky sentinel, ad alcuni dipendenti viene sottoposta una forma "creativa" di relazione professionale. Da dipendenti diventano liberi professionisti che fatturano i loro servizi alla Maba. Non più datori di lavoro, ma loro clienti. Ai dipendenti viene chiesto di registrarsi come indipendenti presso la cassa Avs. Per le ore prestate da indipendenti riceveranno un franco e cinquanta in più rispetto alla paga da dipendente. I costi però saranno interamente a loro carico: oneri sociali, cassa pensione, così come la protezione da perdita di guadagno in caso di malattia o infortunio. Una bella fregatura dal punto di vista economico. Le conseguenze non saranno solo immediate, ma si trascineranno nel tempo. Un ex dipendente diventato poi indipendente, si vedrà negare la disoccupazione per questo passaggio. Per dieci mesi alle dipendenze dalla Sky sentinel, ne lavorerà quasi altrettanti con la Maba, prima di troncare i rapporti perché disgustato. Iscritto in disoccupazione, scopre un'amara verità. Per aver diritto all'indennità disoccupazione, bisogna aver lavorato 12 mesi nell'arco degli ultimi due anni. In realtà ha lavorato oltre il periodo richiesto, ma solo dieci mesi come dipendente della Sky sentinel. Il singolare rapporto professionale di prestatore di servizi alla Maba non è valido quale periodo contributivo. Lo spiega la stessa cassa disoccupazione in una lettera inviata all'ex agente di sicurezza. La legge svizzera vieta la qualifica di indipendente se nei fatti lavori sempre per lo stesso cliente, come specifica l'assicurazione disoccupazione. È la differenza sostanziale dal punto di vista legale con l'Italia con la famosa partita Iva, quella dei falsi lavoratori autonomi. Quindi, oltre il danno la beffa, perché da mesi la persona vive senza nessuna entrata, non avendo nemmeno diritto alla disoccupazione. E non c'è bisogno di molte parole per spiegare quanto la vita sia impossibile senza neanche un franco.
Ma non sono solo i dipendenti a fare le spese di questa situazione. La collettività si deve far carico dei debiti lasciati dal fallimento Sky sentinel. Oltre 170.000 franchi di arretrati tra Avs, cassa disoc-
cupazione, insolvenza e imposte alla fonte. Altri 30.000 franchi di debiti con la cassa pensione e l'istituto collettore.
Il sindacato Unia si dice seriamente intenzionato a inoltrare denuncia per i reati di appropriazione indebita, visto che ai dipendenti venivano dedotti in busta paga gli oneri sociali, senza che questi ultimi fossero riversati agli enti.
Va da sé che l'amministratore della defunta Sky sentinel è lo stesso della Maba Multiservice: un avvocato luganese presente nei cda di una trentina di società iscritte al registro di commercio, in alcune delle quali condivide il posto con dei noti personaggi cantonali. Abbiamo provato a interpellarlo, ma dall'ufficio comunicano che è irreperibile perché all'estero.


Pubblicato il

06.07.2012 02:30
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