E dunque una congiura internazionale contro l’Udc avrebbe fatto sì che venisse costruito ad arte un macabro spettacolo attorno alla morte di un bambino, per impietosire un pubblico occidentale quantomeno distratto se non indifferente alle migliaia di morti senza nome e senza sepoltura lungo le rotte dei migranti e per sconfiggere, non con il democratico voto ma con la subdola propaganda, il partito di maggioranza in Svizzera.

 

E dunque lo sterminio degli ebrei sarebbe ascrivibile sì a Hitler, ma insomma lui non voleva, sarebbe stato il Gran Mufti Haj Amin al-Husseini a dargli l’idea. Secondo Netanyahu, infatti, in un incontro avvenuto nel 1941 a Berlino, alla domanda di Hitler: “Cosa dovrei fare con loro?”, il muftì avrebbe risposto: “Bruciali”. Questa è la storia, del recente passato o recentissima, non importa, secondo due politici con ruoli e responsabilità diversi, ma certamente di primo piano; questo è quanto si può leggere sulla stampa nazionale e internazionale di queste settimane.


Sottoporre a revisione la storia è il compito stesso degli storici, e l’uso pubblico (o politico) della storia è connaturato e inseparabile dal fare storia. Ma qui siamo di fronte a qualcosa di diverso: a un’esemplificazione perfetta di quella che è stata definita la “nuova torsione” subita dall’uso pubblico della storia negli ultimi anni. “Una torsione che va al di là delle tendenze cosiddette ‘revisionistiche’, ormai consolidate; (…) questa nuova torsione è stata in effetti prodotta da un fattore nuovo, che molto in breve potrebbe essere definito come l’ingresso in forma organica dell’interesse economico nella comunicazione dei media concernente temi storici.

 

La storia, in altri termini, è uno dei prodotti culturali che si vende meglio, o comunque che si presta meglio allo scopo, in particolare quando sia mescolata alla finzione, oppure quando se ne potenzi artificiosamente, in forma polemica o sensazionalistica, qualche elemento legato a temi sensibili dell’attualità politico-culturale. Gli effetti di questa nuova forma dell’uso pubblico della storia, dove cioè l’elemento economico può avere la meglio persino su quello genericamente ideologico, seppure tali effetti ricadano comunque anche su quest’ultimo, sono quindi particolarmente visibili nella formazione della cultura nel senso più ampio. Come scrive Marina Caffiero, ‘la sovrapposizione sempre più frequente tra storia, romanzo e finzione scardina nelle nuove generazioni il senso della storia come scienza e rende il confine tra il vero e il verosimile, e perfino il falso, invisibile o insignificante’” (le citazioni sono tratte da una recensione a Vero e falso. L’uso politico della storia, Donzelli, Roma 2008). Voilà, tout se tient.


Chissà se qualcuno a sinistra dirà che bisogna imparare anche dall’Udc un paio di anni fa, non certo seconda alla Lega nell’informazione che rende il confine tra vero e falso insignificante, dopo queste belle uscite mediatiche.

Pubblicato il 

05.11.15

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