Quarant’anni fa le porte di decine di case ticinesi si aprirono in uno slancio di indimenticata solidarietà. Ci si strinse quanto bastava per accogliere i profughi e militanti, in fuga dalla tortura e la barbarie della dittatura cilena. Un’operazione che alternava campagne di sostegno pubblico alla scaletta discreta per chi saltava la ramina, il tutto mentre altrettanto discretamente i grandi industriali di Oerlikon Bührle, Mowag e SIG rifornivano i golpisti cileni di cannoni antiaerei, blindati e fucili di produzione svizzera.


Il traffico d’armi con la dittatura non sembrava turbare più di tanto il Consiglio federale. L’azione posti liberi si rivelò invece un problema per l’esecutivo, che minacciò pubblicamente i responsabili della campagna di solidarietà, rei di aver accolto gli esuli politici cileni in Svizzera e di avere chiamato alla disobbedienza contro le leggi che cercavano di impedire l’arrivo dei rifugiati. Nonostante le minacce federali, alla campagna di solidarietà con i migranti aderirono anche il Consiglio di Stato e la maggioranza del parlamento ticinese, a testimonianza che erano davvero altri tempi.
Oggi, chi salta la ramina non viene più dal Cile, ma dalla Siria, dalla Libia, dall’Afghanistan o dall’Africa subsahariana. Fugge dalle guerre esportate dai governi dell’Occidente o dalla miseria provocata dalla speculazione sui beni alimentari delle “nostre” multinazionali.


I conflitti e le cause cambiano e con loro il luogo d’origine dei rifugiati, mentre la volontà di respingerli di chi siede a palazzo federale è invece la stessa. Si manifesta con voli speciali, camicie di forza, punture di sedativi, bunker anti-atomici o campi di concentramento per migranti, come quelli proposti dalla riforma voluta da Simonetta Sommaruga, sulla quale voteremo nel giugno prossimo. Misure accompagnate dall’inasprimento della Legge sugli stranieri che, dal 2008, permette di condannare chi porta la solidarietà ai rifugiati. Ogni anno tra le seicento e le novecento persone sono quindi punite per aver “facilitato il soggiorno di uno straniero sprovvisto del permesso necessario”. La pratica dimostra che la maggior parte delle multe è pronunciata contro chi ospita in casa un rifugiato. Un dato ancora più insensato se si pensa che le condanne per chi approfitta del lavoro dei sans-papiers superano di poco il migliaio. Una prassi che è confermata dai verbali di interrogatorio: se chi viene fermato senza documenti viene interrogato sul suo luogo di residenza, quasi mai gli viene chiesto dove lavora e chi è il suo padrone, quasi che aiutare chi è nel bisogno sia più grave che arricchirsi sulla sua miseria e disperazione.


Il numero preoccupante di condanne contro chi pratica la solidarietà ha però un lato positivo, poiché dimostra che quarant’anni dopo Cornelius Koch, Guido Rivoir e decine di anonimi antifascisti ticinesi e svizzeri, centinaia di persone continuano ad aprire le loro porte e, come l’auvergnant di Georges Brassens e il rutamatt di Nanni Svampa, a offrire un cappotto e quattro pezzi di pane a chi ha freddo e fame. Persone che, nonostante i rischi, tra umana solidarietà e leggi disumane, sono ancora capaci di fare la scelta giusta.

Pubblicato il 

07.04.16
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