Ricordo che, quando avevo l'arma d'ordinanza – l'inutile fucile d'assalto dei giochi militari –, lo tenevo nascosto come un serpente velenoso. Prima nell'armadio delle scope, dove mia madre l'aveva affettuosamente mascherato con un panno morbido, forse un vecchio pigiama dismesso. Poi relegato in cantina. Laggiù era sotto controllo, perché avevo paura che tentasse l'evasione. Accanto all'oggetto, in un angolo buio, la scatola di latta con i ventiquattro colpi veri, con i quali potevo eventualmente fare una strage in viale Stoppa. Ma non ero dotato per le armi, a scuola reclute, durante il grande servizio di parco ero l'ultimo nel montaggio e smontaggio della culatta. Poi, nel corso della mia felice vita da milite, quando ebbi l'occasione di scambiare il fucile con una pistola, rifiutai, guardato con sorpresa dai commilitoni: la pistola è l'elegante arma degli ufficiali. Ma era quella, appunto, una delle ragioni del mio rifiuto: non sentirmi "un pistola". Meglio la baionetta, che almeno serve a infilzare le cartacce.
Fra poco, finalmente, per merito di un'iniziativa popolare, voteremo per tenerci alla larga dal fucile d'assalto. Ma attenzione, i nemici sparano forte, con tutti i mezzi, non escluse le cannonate di palle micidiali: in un articolo apparso sul giornale, chi vuole proteggere la famiglia dalla minaccia delle armi da fuoco a domicilio viene fatto addirittura passare per ammiratore di Hitler, mentre chi ama tenere a portata di mano – invece che all'arsenale – il gingillo fatto per uccidere o uccidersi (e, in certi casi, per essere venduto a trafficanti spregiudicati che gli mozzano la canna per renderlo più attrattivo) diventa un salvatore della patria come Guglielmo Tell.
Penso a queste cose sul regionale, mentre torno da Zurigo, dove sono stato preso di mira dalla pistola di un criminale che sfilava ossessivamente sul tabellone luminoso nella stazione centrale. Dapprima mi sono spaventato. Poi ho capito: i soliti tristi burloni. Dopo il minareto a forma di missile e la pecora che scalcia, ecco il tipaccio che ammazza… Di fronte a me, nello scompartimento, una donna dalle mani delicate mostra sul cellulare il suo gatto nero all'amica, che ricambia con un gatto grigio. Affetti gatteschi corrono nella sera di gennaio, mentre nel quartetto di fianco una ragazza pallida dice che ha perso la voce e ha dovuto prendere il cortisone. Mi lascio cullare dalle conversazioni delle commesse che rientrano dal lavoro, quando una frase d'improvviso mi rimane conficcata nel cervello, un proiettile vagante: «Anche oggi mi sono prostituita». Che cosa vorrà dire, con quelle parole? Ha letto Marx?
Intanto, la frontaliera dalle mani delicate continua a fare l'elogio del suo micio e nel finestrino la sera cala sul Ceresio dalla pelle di serpente.

Pubblicato il 

11.02.11

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