Procreazione, tuffo nel passato

Dove comincia la vita? Forse dove finisce l’ideologia – la cattiva coscienza, diceva Karl Marx – e dove la religione, le religioni, riconoscono il principio fondamentale “a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”. Una volta, nella seconda metà del XX secolo, l’Italia politica e l’Italia cattolica si divisero al loro interno sull’interrogativo se un feto di, mettiamo, 7 settimane, sia un essere umano oppure no. Gli italiani e soprattutto le italiane non ebbero dubbi e risposero che l’unico giudice e arbitro è la donna. Così, plebiscitariamente, fu salvata la legge 194 che, a determinate condizioni, consente l’aborto. I tempi cambiano e oggi, in Italia, ci si chiede se un embrione è o non è una persona umana. Paradossalmente, dopo che il governo Berlusconi ha varato la legge 40 che proibisce la fecondazione eterologa e la ricerca sugli embrioni a fini terapeutici, mentre l’interruzione di gravidanza è lecita, sempre a determinate condizioni e nei tempi previsti, l’embrione al contrario è intoccabile, sacro, essendo valutato alla stregua di una persona umana, in carne, ossa, anima e quant’altro. Si tratta di una contraddizione che apre la strada all’ennesimo tentativo cattolico di rimettere in discussione il diritto all’aborto. C’è di più: se un uomo e una donna che vivono insieme non riescono ad avere bambini “naturalmente”, essi possono usufruire della fecondazione medicalmente assistita, a condizione che i semi non siano donati da “estranei”. In altre parole, è vietata la fecondazione eterologa. Fior di politici, mossi come marionette da porporati cattolici capitanati da monsignor Ruini, ci spiegano che quel che uomini e donne fanno regolarmente da sempre, cioè mettersi le corna, d’ora in poi sarà proibito dalla legge, o meglio, dal tabù della scienza. “Mater semper certa, pater nunquam” sarà solo un antico, estinto proverbio latino nel caso sciagurato in cui tra dieci giorni non si riuscisse ad abrogare le norme più integraliste della legge 40. Il referendum del 12 giugno ha un valore che travalica i 4 quesiti posti dai radicali per svuotare di significato una delle peggiori leggi varate dal parlamento italiano. Dal suo esito dipende il diritto di autodeterminazione della donna, l’autonomia e la laicità dello stato italiano, il diritto di ricerca scientifica. Il no non vincerà, non è questo il rischio. Il rischio è che l’appello in nome della “difesa della vita” – lanciato dalle gerarchie ecclesiastiche di Santa Romana Chiesa e benedetto da papa Benedetto XVI – all’astensione, al fine di far fallire il referendum – in Italia, perché un referendum sia valido è necessaria la partecipazione del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto – faccia breccia tra gli elettori e le elettrici. I partiti di provata fede cattolica, pur lacerati, sono sensibili alle campane di San Pietro e inclini ad accogliere l’idea oscurantista e integralista che ciò che è peccato per il papa dev’essere automaticamente considerato reato per lo stato. Le componenti maggioritarie della sinistra sono per il Sì (la Margherita tanto per cambiare è spaccata) ma temono contraccolpi nello schieramento d’opposizione al governo Berlusconi. Pochi, tra i sostenitori del No, sono disponibili a sondare i sentimenti dei cittadini e delle cittadine e preferiscono percorrere la strada più facile: tutti al mare e non alle urne, un bell’esempio di senso civico, uno schiaffo alla partecipazione popolare alle scelte del paese. C’è anche un aspetto prettamente classista che rende più odiosa la legge 40: chi ha i soldi la fecondazione eterologa può andare a farsela all’estero, come da tempo succede e come ben sanno i direttori delle cliniche svizzere e spagnole. Anche l’aborto, prima dell’approvazione della legge che lo ha reso possibile, era pratica diffusa in Italia: le donne benestanti andavano a Londra a praticarlo, le poveracce erano costrette a mettersi nelle mani delle famigerate “mammane”. Uno dei più prestigiosi editorialisti del Corriere della Sera, Giovanni Sartori, ha scritto domenica scorsa: «Un primo argomento dei sostenitori della 40 è che proteggere l’embrione è proteggere il più debole, la vita più debole. Ma da questo punto di vita gli embrioni non se la stanno cavando tanto male. I testi di demografia di quando nascevo prevedevano per il 2000 una popolazione di 2 miliardi; invece siamo addirittura più di 6 miliardi e si prevede che saliremo fino a 9. Ne risulta un eccesso di successo degli embrioni: una sovrappopolazione che porta alla distruzione della Terra, del pianeta Terra. E così, anche al suicidio tendenziale del genere umano. In questo contesto, il diritto alla vita si capovolge in una condanna a morte per i già nati, i viventi in eccesso». I sostenitori del no ai 4 referendum, anzi della gita fuori porta e lontani dalle urne, stanno mettendo in campo i peggiori armamentari per agitare le coscienze: si prefigurano scenari apocalittici provocati dal prevalere di una cultura scientista e del relativismo (quello aborrito dall’assolutista papa Ratzinger), fino a evocare lo spirito di Menghele nella denuncia della ricerca sugli embrioni a fini terapeutici: solo Dio, il mio Dio, può decidere la vita e la morte, la nascita e la non nascita. Da questo punto di vista, va segnalato che il discepolo ha superato il maestro: negli Stati uniti di George W. Bush, persino gli stati conservatori finanziano la ricerca sulle cellule staminali. In Italia, le malattie come la sterilità devono essere accettate come segni del destino, croci da portare sulle spalle salendo il Calvario della vita. Con l’aggravante che qualche sporadico tentativo di inseminazione artificiale l’aspirante mamma può anche farlo, purché il seme sia del marito. Rischiamo di tornare al “diritto di sangue”. Già allo stadio dell’embrione.

Pubblicato il

03.06.2005 03:30
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