Questo è un giorno di primavera. I ciliegi con le loro nuvole rosa sono già sfioriti. L'odore dell'asfalto bagnato delle nostre città si mischia con quello di fiori e piante dove scorre nuova linfa. Anche noi quest'oggi abbiamo deciso di alzare la testa. Di crescere nuovamente come giovani virgulti. Questo giorno di primo maggio il Ticino intero è il locale pittureria delle Officine di Bellinzona. A cielo aperto. Le nuvole formano catene di pantaloni appesi al filo delle speranze. Oggi siamo usciti in strada. Abbiamo delle pretese, ma nessuno slogan ad effetto. "Giù le mani dalla nostra vita". Le nostri voci non si alzano, siamo muti. Come in un sogno.
Oggi siamo qui per stare insieme, senza essere caduchi eroi. A Bellinzona, a Lugano, a Chiasso e fino ad Airolo non si prende parola, nessun politico si permette questa volta di salire sul carroccio di una lotta che appartiene fino al midollo a chi – molto più di 400 – ha visto e vede tutti i giorni le tenebre del mondo del lavoro. Questa volta nessun politico saltella davanti alle telecamere del Tagesschau dicendo che "è servito stare sui binari".  La parola questa volta è dappertutto e fa più paura di tutte le armi. I nostri occhi hanno visto e per questo parlano. Oggi non abbiamo paura di raccontare il nostro stare male davanti ad una scrivania, con una pala in mano, fra i piatti sporchi di un ristorante o un panno che sfrega un vetro attraverso cui non ci è permesso vedere. Oggi possiamo. Possiamo raccontarlo a chi lavora con noi senza paura alcuna. Senza atteggiamenti di sterile strategia carrieristica. Possiamo spiegarlo al capo, non per ammettere la nostra debolezza ma per mostrargli la forza di chi ha occhi per vedere. Di chi vuole andare avanti. Senza addormentare la propria vita 42 ore e più a settimana. Senza trovarsi un giorno come merce invendibile che nessuno vuole più comprare. Quella da buttare fuori ai saldi.
Oggi siamo tutti operai delle Officine di Bellinzona. Oggi è il giorno degli eroi. Siamo tutti figli dello stesso mondo del lavoro che trova la sua forza nella logica aberrante del "valore lavoro". Dove "valore" è un tronco cavo dove ognuno getta la propria spazzatura. Dove a 20, come a 50 anni, puoi già essere al margine di quel "valore" che non sappiamo più nemmeno cosa è. Dove la parola "ristrutturazione" copre ogni nefandezza. Dove viene premiata l'astuzia. Dove ai giovani si ripete in continuazione che "l'importante è sapersi vendere" e di avere la valigia pronta "perché il lavoro è ovunque", ma non dove stai tu. Dove a 30 anni puoi essere già vecchio o troppo giovane (a dipendenza di ciò che ti vogliono pagare). Dove il momento è sempre quello delle vacche magre. Il nostro prodotto, ciò che produciamo ha assunto la dignità che noi abbiamo dovuto vendere.
Ma oggi è un altro giorno, oggi è il primo maggio in fiore. Oggi non vogliamo più sognare, vogliamo vivere. Per davvero.

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25.04.08

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