Pomigliano, capitale dei diritti

Occorre risalire a due anni e mezzo fa, quando l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne lanciò l'attacco ai diritti dei lavoratori d'Italia iniziando proprio dallo stabilimento di Pomigliano. Obbligò gli operai campani a rinunciare ai diritti in cambio di lavoro. Nei fatti, una non scelta.
Gli operai, sotto un'imponente pressione mediatica di esperti, opinionisti e politici vari, tutti tesi a convincerli di votare sì, approvarono il triviale baratto padronale col 64 per cento di votanti. Non fu però quel plebiscito auspicato da Marchionne e i suoi corteggiatori. Quel 36 per cento che votò contro l'indecente proposta rappresentò materialmente la dignità operaia che non si vende.
Come andò a finire, oggi lo sappiamo. Dei venti miliardi promessi da Marchionne d'investimenti nel progetto «Fabbrica Italia», ne sono arrivati 800 milioni. Dei 34 nuovi modelli che avrebbero dovuto dare lavoro in Italia, se n'è realizzato uno solo, la Panda, mentre dei 4mila cinquecento operai Fiat dello stabilimento di Pomigliano, oggi ne lavorano meno della metà. Gli altri 2'500 operai sono in cassa integrazione. Alla fine, niente lavoro e niente diritti.
Il bilancio è ancor più negativo. Secondo i corteggiatori di Marchionne Il modello di lavoro imposto a Pomigliano si sarebbe limitato all'eccezionalità dello stabilimento campano, mentre invece si è esteso a tutta Italia, arrivando ora a far vacillare anche il contratto nazionale.
E tra gli effetti più perversi del modello Pomigliano vi è stata l'espulsione della democrazia dalle fabbriche. Solo i sindacati prontamente disposti a sottoscrivere il diktat della Fiat hanno diritto a essere presenti in fabbrica, ad aver delegati e quanto ne segue. La Fiom, rea di essere stata l'unica voce contraria alla voce del padrone, è stata espulsa dalla Fiat. Non era mai successo nella storia sindacale d'Italia. Con buona pace della democrazia in cui un operaio può liberamente scegliere a quale sindacato affiliarsi e se approvare o meno un accordo. E poiché chi dice Fiat dice Italia, le modifiche nei rapporti di lavoro della casa automobilistica torinese si estendono a cascata a tutte le relazioni contrattuali d'Italia, sono facilmente intuibili le conseguenze per i salariati italiani in tutti i rami professionali. Ecco perché Pomigliano agli occhi di molti è diventata simbolicamente la capitale della resistenza dei diritti sul lavoro e della democrazia reale.
Ed ecco perché, nella prima giornata di mobilitazione promossa dalla Confederazione europea sindacale, area ha voluto essere a Pomigliano.

L'incubo di Marchionne


Ciro D'Alessio è uno degli operai Fiat di Pomigliano con la tessera Fiom. È uno dei diciannove che inoltrò il ricorso vittorioso per comportamento discriminatorio della casa automobilistica.

A fine maggio, dei 2mila operai richiamati al lavoro da Fabbrica Italia Pomigliano, nessuno risultava iscritto alla Fiom, l'organizzazione sindacale rea di aver contestato l'accordo-ricatto "lavoro in cambio di diritti" firmato da altri sindacati confederali. Il 19 ottobre la Corte di Appello di Roma, per impedire il protrarsi della discriminazione, ha imposto alla Fiat un termine di quaranta giorni per richiamare i 19 lavoratori ricorrenti e tre mesi per richiamare altri 145 operai affiliati alla Fiom. Ciro D'Alessio e i suoi compagni sono l'incubo personificato di Sergio Marchionne, l'amministratore Fiat. Pur di non averli in fabbrica, li lascerebbe a casa retribuiti come già sta facendo con tre operai di Melfi, malgrado tre gradi di giudizio abbiano confermato l'obbligo di reintegrarli al lavoro.
Ciro D'Alessio, qual è il senso di questa giornata di mobilitazione a Pomigliano?
Oggi Pomigliano è stato il centro in Italia delle mobilitazioni europee. Questo perché Pomigliano è forse la faccia più crudele dello sfruttamento della classe operaia, abbandonata dalla politica. Non solo c'è stato un drastico taglio della manodopera, non solo all'interno dello stabilimento si vive come schiavi sottoposti a ritmi esagerati, ma c'è in atto una discriminazione dei lavoratori tesserati Fiom. Oggi è importante, perché da Pomigliano si alza forte il grido che non siamo disposti in alcun modo a piegarci e lotteremo fino alla fine per tutelare i nostri diritti.
Lei è uno dei 19 operai che ha vinto il ricorso, obbligando la Fiat a richiamarla. Crede che lo farà davvero?
L'ultimo giorno utile per il reintegro è il 28 novembre. Sono convinto che fino a quel giorno non sapremo nulla dalla Fiat. Chi non ottempererà alla sentenza si assumerà le sue conseguenze. Noi andremo avanti nella nostra battaglia.
E quale giudizio dà della prima giornata di mobilitazione europea?
Oggi ci sono gli studenti in piazza, lavoratori di altre realtà, di altre regioni italiane. Ci siete voi compagni svizzeri che hanno condiviso la nostra lotta. Ci sono operai, intellettuali, gente comune. È questo l'importante: unire e condividere le battaglie per riuscire a vincere e cambiare questo stato di cose. Sono piazze come queste che elaborano domande e propongono risposte. È da qui che nascerà il cambiamento.
Particolarmente significativa è la presenza di numerosi studenti al vostro corteo.
Gli studenti che si uniscono agli operai è un passaggio fondamentale. Un giorno gli studenti saranno lavoratori e se oggi capiscono l'importanza di battersi per i propri diritti, domani quando saranno lavoratori, partiranno da una buona base da cui iniziare. Noi cerchiamo di dare il nostro piccolo contributo trasmettendogli la nostra esperienza. Noi non vogliamo fare ideologia né politica. Vogliamo fare solo il sindacato tutelando i nostri iscritti e tutti i lavoratori. Questo è quello che ci chiedono e che vogliamo fare. Sono orgoglioso di essere compagno di lotta e avventura di queste splendide persone che hanno anteposto gli interessi collettivi dei lavoratori mettendo da parte affetti, posto di lavoro di sicuro per combattere.

Pubblicato il

23.11.2012 03:00
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