L'editoriale

La pandemia di coronavirus colpisce duramente soprattutto le persone anziane, per la loro fragilità fisica ma anche per non essere protette a sufficienza dalle blande e sempre tardive misure a difesa della salute pubblica sin qui adottate da Cantoni e Confederazione: tant’è che ci è voluta la cosiddetta “variante inglese” del virus per convincere il Consiglio federale a decretare finalmente l’obbligo di home office e le attuali chiusure di ristoranti e commerci, che gli esperti e la logica suggerivano già sin dall’autunno. A pagare un prezzo maggiorato per le scelte scellerate dei governi sono anche le persone povere o che vivono in condizioni socioeconomiche precarie. A rivelarlo è un interessante studio scientifico degli ospedali universitari di Ginevra e del Politecnico di Losanna.


Un contributo prezioso alla conoscenza, una perla rara in un paese come la Svizzera in cui di questa pandemia si sa e si vuol sapere pochissimo: si pensi al buio pesto attorno alla questione (centrale e vitale) dei contagi sui luoghi di lavoro a ormai un anno dall’inizio della pandemia o all’assenza di dati (incomprensibile a un mese dall’arrivo del vaccino) sulle dosi inoculate nei vari Cantoni.


Gli studiosi romandi hanno analizzato la nascita, l’evoluzione e le correlazioni spaziali dei focolai d’infezione registrati a Ginevra durante la prima ondata della pandemia e hanno constatato che nelle zone più sfavorite della città (in genere quelle a più forte densità) essi durano da due a tre volte più a lungo che nei quartieri più agiati, a causa delle difficoltà nell’interrompere le catene di trasmissione del virus. L’architettura degli stabili, l’organizzazione sociale e i mezzi di cui la gente dispone modifica le capacità di attuare il distanziamento, per esempio con il telelavoro o il lavoro all’aria aperta. L’isolamento dei malati e il rispetto della quarantena in certi quartieri sono più facili che in altri con delle caratteristiche che favoriscono la trasmissione del virus, spiegano gli autori dello studio, facendo tra l’altro presente come nelle zone più povere gli abitanti già soffrano più frequentemente di patologie (quali l’obesità, l’ipertensione o il diabete) che li rendono fragili di fronte al Covid e dunque esposti a un cumulo di fattori di rischio. Di qui, concludono gli studiosi, la necessità di adottare sistemi di allerta e, di fronte a un focolaio, di intervenire prontamente con misure di salute pubblica mirate e adattate alle circostanze e atte a evitare che i malati entrino in contatto con familiari e vicini.


Se la Svizzera si trova tuttora in una situazione epidemiologica tesa nonostante il calo di nuove infezioni, ricoveri e decessi degli ultimi giorni, non è solo per l’arrivo della “variante inglese” più contagiosa, ma anche per il disinteresse mostrato sin qui dal decisore politico nei confronti delle varie categorie di “ultimi” e dei più fragili, delle loro sofferenze fisiche ed economiche. Poveri, vecchi, lavoratori e anche tanti piccoli imprenditori abbandonati al loro destino, a cui bisognerebbe finalmente cominciare a pensare. Il fallimento della “via svizzera” nella lotta alla pandemia, che al centro pone una (presunta) salvaguardia degli interessi economici, è ormai sotto gli occhi di tutti. Ma un cambiamento di rotta non lo si vede: il parziale lockdown che stiamo vivendo difficilmente basterà e i danni economici, complice l’assenza di ristori degni di questo nome, sono destinati ad aggravarsi ulteriormente.

Pubblicato il 

21.01.21
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