Perequazione sempre difficile

La nuova impostazione della perequazione finanziaria e dei compiti (Npc) tra Confederazione e cantoni è una di quelle riforme che lasciano il segno, sicuramente tra le più importanti per la Svizzera. Il perché è semplice: la Npc rivede i meccanismi di base della collaborazione tra Confederazione e cantoni, andando con ciò a toccare, per rivitalizzarlo, il federalismo, colonna portante del “sistema Svizzera”. Un sistema, questo, giunto al massimo consolidamento nel 1959, quando venne introdotta la perequazione finanziaria per ottenere due scopi: regolare i flussi di denaro tra Confederazione e cantoni, e cercare un equilibrio, in base al principio di solidarietà federale, tra cantoni finanziariamente forti e cantoni finanziariamente deboli. L’idea di fondo è sempre attuale, anche nella nuova Costituzione federale che all’articolo 135 afferma: “La Confederazione promuove la perequazione finanziaria tra i cantoni. Nel concedere i contributi federali prende in considerazione la capacità finanziaria dei cantoni e delle regioni di montagna”. Ma dopo neppure 40 anni la perequazione era diventata un ginepraio di centinaia di misure isolate per gestire un interscambio arrivato a 15 miliardi di franchi, con la conseguenza che le responsabilità diventano vaghe, gli strumenti numerosi, i doppioni inevitabili. E soprattutto, nonostante gli sforzi, le differenze di capacità finanziaria tra i cantoni , invece di colmarsi si aggravavano, diventavano sempre più grandi. Da qui la decisione presa nel 1996 dall’allora ministro delle finanze, Kaspar Villiger, di sviluppare un nuovo concetto di perequazione finanziaria, da discutere assieme, Confederazione e cantoni, per adeguarla ai mutati tempi e alle nuove esigenze. Obiettivi: districare e ridistribuire i compiti della Confederazione e dei cantoni, e trovare nuovi strumenti per ridurre in modo più efficace le differenze di capacità finanziaria tra i cantoni. Sul piano della ridistribuzione dei compiti, la proposta è quella di far sì che per un compito vi sia sempre una sola autorità responsabile, vale a dire la Confederazione o i singoli cantoni. Ma ci sono compiti che non possono essere così nettamente suddivisi: saranno gestiti su una base di partenariato tra Confederazione e cantoni, oppure faranno capo alla cooperazione intercantonale. Quest’ultima soluzione significa introdurre un quarto livello istituzionale (dopo quelli della Confederazione, dei cantoni e dei comuni) che contraddice l’obiettivo di semplificazione dei rapporti all’interno dello stato federale. Sul piano del livellamento delle capacità finanziarie dei cantoni, si tratta di cambiare strumento: invece di perseguire tale obiettivo agendo soprattutto sull’ammontare dei sussidi, in futuro verranno usati strumenti di perequazione separati e indipendenti dai sussidi. Scendere nei dettagli di questa materia molto tecnica, qui è impossibile. Basti rilevare – come si deduce da queste premesse – che la Npc è un’operazione più politica che contabile. In altre parole, non si tratta di dare di più o prendere di meno da una parte o dall’altra, ma di cambiare e semplificare le regole in base alle quali Confederazione e cantoni si dividono le risorse per far fronte ai rispettivi compiti. Per questa ragione le critiche che vengono mosse alla Npc sono di carattere prevalentemente politico. In parlamento sono state formulate diverse obiezioni, tra cui quella secondo cui i cantoni, affrontando alcuni compiti sociali in modo completamente autonomo, a causa della differente capacità finanziaria finiranno per produrre prestazioni differenziate. Non verrebbe quindi rispettato il principio dell’uguaglianza giuridica. Altro campo che dà adito a critiche è quello della cooperazione intercantonale. È poco democratica – si dice – perché è affidata ai governi cantonali e relegherebbe in secondo piano il ruolo dei rispettivi parlamenti. La perequazione delle risorse, poi, sarebbe poco efficace, perché comporta che queste vengano sottratte ad alcuni cantoni per essere trasferite ad altri. È facile immaginare i problemi che ne conseguono. Quale alternativa, la sinistra ha invece sostenuto che sarebbe meglio armonizzare i 26 sistemi fiscali, per far sì che non vi siano cantoni che devono far fronte ad enormi problemi sociali tenendo alte o aumentando le imposte, ed altri che si possono permettere il lusso di abbassarle, generando anche in questo caso un trattamento discriminatorio dei cittadini che viola il principio di uguaglianza. Il Partito socialista svizzero non guarda con occhio troppo benevolo questa Npc, che si presenta come una risposta troppo «borghese» alle oggettive esigenze di riequilibrio dei compiti e dei flussi finanziari tra Confederazione e cantoni. In occasione del dibattito parlamentare, il gruppo socialista alle Camere federali si pronunciò per due terzi contro la Npc. Al congresso del Pss del 24 ottobre a Naters (Briga), la proporzione dei no alla Npc è stata ancora più netta: i tre quarti dei delegati. Il motivo centrale è sicuramente la preoccupazione che la Npc avrebbe la conseguenza di una soppressione di prestazioni sociali, poiché i sussidi collettivi dell’Assicurazione invalidità (Ai) a laboratori, residenze, ecc. per gli invalidi, saranno cantonalizzati. A pagarne il prezzo più alto potrebbero essere gli handicappati, poiché i cantoni restano liberi di destinare ad altri scopi questi mezzi finanziari. Al congresso c’è stata una serie di interventi contrari alla Npc. Per esempio, secondo la consigliera nazionale zurighese Christine Goll, che è presidente della commissione parlamentare della sicurezza sociale e della sanità, «il denaro che va ai cantoni verrebbe impiegato per ridurre le imposte». Secondo altri, la Npc rappresenterebbe «un progetto delle destre», il «più grande e insolente attacco» alle prestazioni per gli handicappati ed ai sussidi per le scuole speciali. Naturalmente non sono mancate le opinioni che andavano nella direzione opposta. I socialisti bernesi, per esempio, capeggiati dal consigliere nazionale Peter Vollmer, si sono schierati per il sì alla Npc. Spiegazione di Vollmer: «È un autogol. In tal modo finiamo per fare il gioco di chi non vuole alcuna riforma in questo paese». La Npc non è utile, non è sociale, non è equa. A dirlo sono gli handicappati svizzeri, o meglio 45 delle loro organizzazioni che, riunite in un’apposita associazione, hanno lanciato la campagna “No alla perequazione finanziaria”. Guidata da personalità come il consigliere nazionale turgoviese del Pss, Jost Gross, o come l’ex-consigliere agli Stati ed ex-direttore dell’Ufficio federale della sanità, Otto Piller, l’associazione ha già tenuto una manifestazione il 16 ottobre scorso sulla Piazza Federale a Berna, con 10 mila disabili e loro familiari ed accompagnatori. Il concetto di fondo affermato in quella occasione è che la Npc «è un esercizio tendente a ridistribuire le finanze, un progetto di scompiglio del sistema sociale che bisogna assolutamente impedire». Dei 3,5 miliardi di franchi che la perequazione finanziaria prevede di ridistribuire, due concernono esclusivamente le persone handicappate. Questi fondi saranno attribuiti ai cantoni, che potranno disporne liberamente. I costi di personale, laboratori e scuole specializzate, finora ampiamente coperti da un’assicurazione sociale nazionale, in futuro dovranno essere finanziati dai cantoni. E visto che i cantoni non esitano a sopprimere persino interi ospedali, gli handicappati temono giustamente di non ricevere un trattamento migliore. «Non si capisce» – hanno scritto in un comunicato – «l’utilità di abbandonare una soluzione nazionale che funziona bene, per adottare 26 diverse soluzioni cantonali che dovrebbero sostituirla in modo convincente e più efficace». Conseguenza: «La sicurezza e la continuità» delle assicurazioni sociali «sono minacciate dal caos». Dunque, «non sono le considerazioni finanziarie che spingono le associazioni degli handicappati ad opporsi alla Npc, ma è soprattutto il fatto che i compiti nazionali vengono cantonalizzati. Ne consegue un passo indietro indesiderabile e inutile, nonché molta incertezza».

Pubblicato il

29.10.2004 01:30
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