Dietro lo specchio

I “millennials”, e non solo, non mollano. Lo scorso 15 marzo erano milioni nelle piazze dei quattro continenti, oltre 60mila nella minuscola Svizzera. Of course: l’emergenza climatica la fa da padrona nei programmi governativi, di incisivo: nulla. La produzione energetica con sole risorse rinnovabili decisa nel Summit di Parigi è una sfida ciclopica, ma anche un’opportunità per cambiare il modello socioeconomico di sviluppo, ai margini del collasso.


Tuttavia v’è palese incapacità (o volontà ?) delle élite dominanti e di una folta schiera di economisti di liberarsi dai tre principi: crescita, concorrenza e libero scambio. Un’ostinazione, dogmatica che inficia la realizzazione di un sistema socioeconomico che offra prosperità per tutti e sia sostenibile nel tempo; un obiettivo che figura in tutti i programmi governativi.


Non mancano tuttavia idee e proposte di studiosi, movimenti sociali e forze politiche (poche per il momento) che propongono un altro paradigma di sviluppo. Ecco un compendio che riassume gli elementi principali:


1. Sostenibilità e resilienza
•    Trasporti di persone centrati su quelli pubblici (Tp) e mobilità lenta, riduzione drastica del trasporto individuale motorizzato (Tim);
•    pianificazione urbana che dia priorità a ecoquartieri integenerazionali, con negozi, commerci e servizi, posti di lavoro accessibili con Tp;
•    produzione agricola e alimentare secondo i principi biologici, a chilometro zero, abbandonando quella industriale che fa largo uso di  fertilizzanti sintetici, pesticidi, enormi quantità di acqua che avvelenano la terra e la falda e acidificano gli oceani;
•    economia circolare con moneta locale e creazione regionalizzata di valore aggiunto mediante sostegno ad aziende pubbliche, cooperative, collaborazioni tra produttori e consumatori;
•    cooperazione nell’uso e creazione di infrastrutture per energia, trasporti, acqua.


2. Giustizia e reciprocità. Per compensare l’esternalizzazione dei costi ambientali, l’appropriazione di risorse, lo scambio ineguale subito dai paesi detti “arretrati” o del “terzo mondo” occorrono:
•    accordi commerciali equi, al posto di quelli di libero scambio;
•    reti di produzione e di consumo intra-regionali e rafforzamento dei mercati interni;
•    economia collaborativa e della mutua condivisione.


3. Prosperità invece di crescita del Pil. Gli Usa nel 2016 si collocavano all’ottavo posto nell’indice globale in termini di Pil pro capite, ma solo al 108esimo secondo l’indice “Happy Planet Index” (che tiene conto di vari fattori qualitativi) a causa degli elevati livelli di degrado ambientale, consumo di risorse ed elevata disuguaglianza.

 

Azioni:
•    indicatori qualitativi al posto di quelli quantitativi;
•    beni pubblici a favore della “qualità di vita” per tutti, invece di deregolamentazione, concorrenza e privatizzazione;
•    orario di lavoro ridotto per tutti, grazie ai guadagni di produttività derivanti dal progresso tecnico;
•    forme di lavoro artigianali e servizi sociali alla persona;
•    reddito di base incondizionato per accrescere la sicurezza sociale di fronte alla diffusione crescente di forme d’organizzazione del lavoro anomale ( tempo determinato, su chiamata, autonomo ecc.);
•    attività del settore finanziario orientate a obiettivi sociali.
4. Riequilibrio del sistema di valori. Le politiche neoliberiste favoriscono crescita, concorrenza e accumulo di denaro scaricando sul lavoratore-consumatore la parte cospicua del finanziamento statale, accrescendo le disparità e intaccando la coesione sociale, quindi:
•    quote differenziate in funzione del reddito per assicurazioni sociali; idem per Iva accrescendo quella su prodotti e servizi di lusso;
•    tasse su operazioni e movimenti finanziari che esulano da investimenti produttivi.


Molte azioni elencate sono già realtà a livello di gruppi sociali, comuni, regioni. Nulla di utopico, anzi!

Pubblicato il 

21.03.19
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