Al netto delle guerre, degli scafisti e degli sciacalli politici e finanziari che si riproducono là dove c’è puzza di guadagno facile, il mondo è gravemente malato. Malato di fretta. Fretta e accelerazione del tempo che generano inadeguatezza e alienazione.


Tre sono le forme dell’accelerazione: quella tecnologica, quella dei mutamenti sociali e quella del ritmo di vita, accentuata dalla rivoluzione digitale e dal processo di globalizzazione in atto. Che questo sia frutto della competizione indotta dal sistema di mercato capitalistico è risaputo.
Il fatto è che abbiamo definitivamente perso il senso del tempo, che sembra dilatarsi ogni giorno di più.
Insomma: se ti fermi sei escluso, tagliato fuori.


L’unico modo per recuperare una dimensione vivibile è la vacanza: le vacanze, da cui siamo appena usciti. Ma come si potrà mai parlare di vacanza (di “vuoto”: vacanza ha lo stesso etimo di vuoto), date la precarietà economica, la scarsità dei mezzi e l’instabilità sociale? Come consumare sabbia, sole e mare – scrive Marc Augé, il famoso etnologo e antropologo francese – restando a casa con la testa? E soprattutto come combattere l’alienazione? Sarà forse indispensabile essere un po’ meno contemporanei?  
Una soluzione radicale ci sarebbe. Bisognerebbe sottoporre il totalitarismo dell’accelerazione allo stesso trattamento che riserviamo ai regimi dittatoriali. Tornare alla politica, anche se sappiamo che la politica non è più il regolatore del cambiamento e dell’evoluzione sociale.


Una cosa è certa: bisogna ridefinire al più presto il riposo, la pausa dal lavoro non come inattività. Occorre rompere il ritmo delle giornate evitando il consumo compulsivo, il divertimento e lo stordimento che ne conseguono. Occorre riflettere sull’estraniamento dell’uomo dagli oggetti. Per esempio combattendo il distacco dallo spazio fisico generato dalla globalizzazione digitalizzata.


Dobbiamo cominciare dall’educazione infantile. I bambini sono i più esposti alle insidie degli spacciatori di fretta perché sono un popolo di potenziali acquirenti. Impedendo loro la capacità di immaginare, cioè di vivere un tempo diverso da quello che vivono, come fa l’industria del giocattolo, e non soltanto quella, si diffonde il consumo. Dobbiamo tornare a proporre all’infanzia i tempi ciclici della natura e delle stagioni, combattendo con tutti mezzi i tempi artificiali. Tornare a riparare le cose per appropriarci del mondo, opponendoci all’innovazione fanatica. Smetterla con il sovraccarico di informazioni e il consumo di gratificazioni istantanee date da Tv e shopping.


È ora e tempo di riandare alle esperienze vissute e alle relazioni sociali vere. Anche un buon libro potrebbe essere d’aiuto: purché diventi un modo per raccoglierci (o anche solo per fare un poco di chiarezza, come fa il piccolo saggio di Hartmut Rosa).

Pubblicato il 

24.09.15
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