Per Paolo, morto di lavoro

Paolo, un giovane operaio di ventisette anni, è morto lunedì sera cadendo da 25 metri in un cantiere nel centro di Lugano. Un fatto grave che ha avuto diritto a qualche riga sui giornali locali. Ma una giovane vita stroncata in questo modo non può essere ridotta ad un fatto di cronaca. Deve far riflettere. Il giorno successivo, nella piazza del mercato di Lugano, la gente guardava incredula il cantiere e, mormorando, esprimeva cordoglio. Non si può morire di lavoro, men che meno a 27 anni. Certo, il sindacato Unia ha dichiarato che su quel cantiere la sicurezza era buona (anzi: che quello era uno dei pochi cantieri davvero in regola). Sarà l'inchiesta a stabilire le cause del decesso.
Ma non si può neanche chiudere gli occhi sulla serie di infortuni che si registrano sui cantieri. Non si tratta di sparare nel mucchio, o di mettere sul banco degli accusati l'intera categoria degli impresari. Vi sono cantieri dove sono gli operai a dire che è lo stesso impresario ad esigerne la messa in sicurezza, anche se ci vuole del tempo. Ve ne sono altri però dove si preme affinché il lavoro venga svolto in fretta, senza curarsi troppo della sicurezza, che costa tempo e denaro. E sono queste imprese che arrecano un danno non solo ai propri lavoratori, ma a tutta la categoria. D'accordo, il mercato impone la velocità e i costi ridotti: e chi fa il furbo è più concorrenziale. È il sistema che detta le regole, che decide i ritmi e il rispetto o meno delle norme. Ma non può e non deve essere così. Se così fosse, se dovessimo arrenderci all'ineluttabile legge di un mercato sempre più selvaggio anche a costo di sacrificare delle vite umane, non saremmo una società che può dirsi civile. Non si tratta neanche di negare la forza del sistema, della sua capacità di stravolgere i valori. Ma di almeno porre dei limiti, così che i furbi ne escano perdenti. Occorre fare degli sforzi, tutti insieme e senza ipocrisie.
Il cottimo ad esempio deve essere bandito. Lo è sulla carta, ma non nella pratica: "Ti pago per quanto fai. Come lo fai, non m'interessa". Un fenomeno sempre più in espansione sui cantieri, un pericoloso circolo vizioso. I ferraioli devono fare in fretta perché i muratori devono gettare il cemento, che a loro volta dovranno fare in fretta affinché i ferraioli possano continuare. Altro esempio sono i lavoratori delle agenzie interinali. Hanno un tasso d'infortunio sui cantieri che corrisponde a quattro volte la media dei lavoratori edili. Spesso perché si tratta di persone prive di una formazione di base che gli permetta di muoversi in sicurezza su un cantiere. Eppure il sistema le giustifica come manodopera necessaria alla flessibilità per far fronte ai picchi di produzione. Ma ammesso e non concesso che sia giusto rincorrere la flessibilità estrema, non si può considerarli come lavoratori a perdere. Se proprio dei lavoratori interinali non si può fare a meno, limitarne l'uso o costringere le agenzie che prestano forza lavoro ad occuparsi della formazione nel campo della prevenzione, sarebbe un primo passo nel senso giusto.  
Una vita deve essere prima di tutto vissuta, non subita. Almeno questo ci insegni l'ultimo volo di Paolo.

Pubblicato il

10.11.2006 00:30
Francesco Bonsaver
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