Quando arrestarono la rivoluzionaria afroamericana Angela Davis, nel 1970, lo scrittore James Baldwin le scrisse una lunga lettera di solidarietà. La conclusione era una promessa di battersi per la vita di Angela perché «se vengono per te al mattino, per noi verranno di notte».

 

A prima vista, una storia di un altro tempo. Eppure solo qualche mese fa anche in Svizzera sono venuti al mattino.  Sono venuti a cercare Mehmet, rifugiato politico turco, portandolo via, davanti agli occhi increduli della moglie e dei suoi due figli. Non è la prima volta che venivano per lui. Prima di lasciare la Turchia, negli anni ’90, aveva già subito l’arresto per la sua presunta appartenenza a un’organizzazione di sinistra. Alle brutali torture erano seguiti otto anni di carcere. Dopo la sua liberazione, le persecuzioni sono continuate e hanno spinto Mehmet a lasciare il paese. Mehmet vive in Svizzera dal 2007, senza rinunciare ai suoi principi e alla solidarietà operaia, continuando a organizzare attività in difesa dei diritti dei lavoratori e le lavoratrici immigrate e per sostenere le vittime della repressione nel suo paese d’origine.

 

Se Mehmet non ha dimenticato i suoi compagni incarcerati, la magistratura turca non ha dimenticato lui. Cosciente di non poterne chiedere l’estradizione a causa del suo status e delle numerose condanne per tortura pronunciate dalla Corte europea dei diritti umani, la giustizia di Erdogan ha subappaltato il caso ai magistrati tedeschi. Il dossier contro Mehmet è stato costituito dalla polizia turca, tra l’altro sulla base di dichiarazioni ottenute sotto tortura, ma la richiesta di estradizione l’ha firmata un giudice di Karlsruhe. L’accusa sarebbe di aver organizzato delle serate e delle conferenze in Svizzera, oltre ad aver partecipato a cinque riunioni in Germania.

 

Un comportamento criminale per il codice penale tedesco, che proibisce le attività contrarie agli interessi di uno Stato estero da parte di organizzazioni di immigrati su suolo tedesco.Un’attività assolutamente legale per il diritto svizzero: gli eventi a cui Mehmet partecipava erano autorizzati e il Ministero pubblico della Confederazione ha confermato non aver nulla da rimproverargli. I motivi invocati nella domanda di estradizione sono de facto gli stessi per cui Mehmet ha ottenuto lo status di rifugiato nel 2010.

 

Eppure, incomprensibilmente, la domanda di estradizione è stata accettata dall’Ufficio federale di giustizia nel giugno scorso. Alla stregua delle migliaia di oppositori e oppositrici rinchiusi nelle carceri di Turchia, Mehmet è quindi imprigionato per il suo impegno politico. Da dietro le sbarre attende l’esito del ricorso, ma non è solo nell’attesa: oltre un centinaio di rappresentanti politici, professori di università, militanti sindacali e associativi, così come la Lega Svizzera dei Diritti dell’Uomo e associazioni di giuristi svizzere e europee hanno chiesto pubblicamente alle autorità federali di rifiutare l’estradizione, e ogni giorno nuove firme importanti si aggiungono all’appello. La battaglia per Mehmet è una battaglia di principio, perché i rifugiati come lui in Svizzera sono decine. Per Mehmet sono venuti al mattino. Se non salviamo lui, una notte qualsiasi verranno a prendere gli altri.

Pubblicato il 

27.08.15
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