Sono in autostrada. Sto andando a Lugano a fare il commissario per la prova  d' italiano, a un esame di maturità. Sì, si dice così: commissario. Mi viene da sorridere, vista la mia scarsa propensione per il potere. Il traffico a quest'ora è micidiale, l'automobilista pur di arrivare in tempo sul posto di lavoro è pronto a uccidere. Ballano, i topi, verso la trappola vitale. Mi consolo accendendo la radio. Ma le notizie sono allarmanti: "…tragedia sportiva…" , … " il Ticino piange…". Poi però tutto si chiarisce: le nostre squadre di calcio non sono più in serie A. E allora?
Penso alle chiacchiere che avvolgono come un nuvolone il nostro pianeta. Penso  a tutte le energie non rinnovabili, individuali e sociali, che vengono dirottate sul calcio: ventidue uomini che si contendono una palla. Anch'io ho giocato a calcio, certo. Cent'anni fa. Ma era un'altra cosa. Lo si faceva per passione, in una squadretta di paese. Adesso ci sono gli scandali, negli stadi italiani fra i tifosi scoppia  il razzismo, si truccano le partite e i giocatori sembrano marionette addette a placare le frustrazioni di chi non riesce a realizzarsi nella vita.
Durante l'esame, una ragazza si emoziona e si riempie di chiazze rosse. È fragile, ha un futuro incerto davanti. Altre candidate si presentano con anellini al naso, nelle labbra, tatuaggi sulle braccia, travestimenti. Una afferma che il metallo nel naso è un "compenso" perché il suo tipo l'ha "smollata". Non tutti all'orale portano i soliti autori, però; c'è una ragazza che ha scelto "Dio non ama i bambini" della Pariani e la trilogia della Kristof. "Mi piacciono le cose cupe" dice. Uno, dopo il colloquio, mi confida di aver letto una mia poesia. Ho un sussulto: la letteratura della Svizzera italiana quasi non esiste, nelle nostre scuole. Chi legge Piero Bianconi, Plinio  Martini o Sandro Beretta? Per non parlare dei viventi. Eppure, un racconto di Sandro Beretta – alzi la mano chi ha già sentito nominare questo scrittore – ci parla della condizione dei nostri operai e della vita delle nostre valli, negli anni dell'ultimo dopoguerra, con  efficacia espressiva e  profonda sensibilità.
Al ritorno faccio la cantonale e i pensieri vanno a queste ragazze e a questi ragazzi apparentemente disinvolti e intimamente fragili, che spesso vivono situazioni di disagio familiare e sociale. Gli stiamo cancellando il futuro: i posti di lavoro sono sempre più precari. Cerchiamo almeno di dargli una mano a salvarsi l'anima. E la scuola, rispetto alla società, può rappresentare un'isola di resistenza, in cui echeggia  la voce dei poeti e degli scrittori autentici. Una voce diversa, della quale abbiamo bisogno come dell'aria che respiriamo.

Pubblicato il 

24.06.11

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