Relazioni Svizzera-Ue

«Sul piano generale, le elezioni del parlamento europeo hanno confermato la necessità di una svolta sociale, la quale si è già espressa con il voto in favore di certi partiti socialisti e socialdemocratici, come, per esempio, quello portoghese e spagnolo, che in questo ultimo periodo hanno chiaramente fatto una politica sociale. E d’altra parte anche i Verdi, in particolare quelli tedeschi, durante la campagna elettorale hanno messo molto l’accento non solo sulle questioni ambientali, ma anche sulla necessità di rafforzare la dimensione sociale». È, come si vede, un giudizio positivo quello che l’ex copresidente di Unia e attento osservatore della realtà europea, Vasco Pedrina, esprime sui risultati del recente rinnovo del parlamento dell’Ue. Un giudizio che sfiora l’ottimismo anche guardando ai partiti della destra populista: «Dalla stessa Le Pen fino a Salvini in Italia, vediamo che cercano di occupare il terreno sociale della sinistra, con un discorso molto nazionalista, xenofobo eccetera, ma anche sociale. Come risulta da studi fatti in Italia, gli operai sono socialisti e solidali in fabbrica, ma sono molto attirati dalla xenofobia fuori. Credo perciò che, come tendenza generale, anche i partiti di centro che vogliono, diciamo, salvare l’Europa e fare in modo che non si disgreghi, saranno costretti a fare una politica più sociale. Altrimenti l’Europa rischia di saltare».

 

Miglioreranno anche i rapporti tra la Svizzera e l’Ue?
Anche rispetto alle nostre preoccupazioni in Svizzera sull’accordo quadro istituzionale, non direi che il contesto politico europeo dopo queste elezioni sia peggiorato.


Recenti sondaggi dicono che il 41% degli svizzeri vorrebbe una ri-negoziazione dell’accordo quadro con l’Ue. Sarà possibile, nonostante l’Ue si mostri riluttante a concedere ancora dilazioni e flessibilità?
Adesso i media dicono che l’Ue sarà dura; e naturalmente i responsabili politici europei danno segnali in questa direzione. L’Unione europea e la Commissione guardano molto da vicino a come si muovono le forze politiche in Svizzera rispetto all’accordo quadro. È quindi problematico che economiesuisse – come fa in una recente lettera al Consiglio federale – dia l’indicazione che bisogna assolutamente firmare, dare segnali positivi all’Ue, perché tanto è chiaro che l’Ue non farà nessuna concessione. Al contrario, quando Unia e Uss in aprile hanno fatto lobbying affinché il parlamento europeo accettasse di togliere dal rapporto sulle relazioni bilaterali tra Svizzera e Ue una critica alle misure d’accompagnamento svizzere, a presentare l’emendamento sono stati i Verdi e una parte della frazione socialista, spinti da noi e dai nostri colleghi dei sindacati europei. In quella occasione siamo venuti a sapere che un consigliere nazionale del Plr di Zurigo scriveva email ai suoi colleghi europei per dire loro «tenete duro nei confronti della Svizzera perché stiamo spingendo con successo affinché il partito socialista cambi posizione; e i sindacati potremo poi marginalizzarli». Ecco, questi signori, in parte politici e in parte dell’economia, non aiutano naturalmente a rendere più flessibile la posizione dell’Ue. I sindacati invece auspicano che il Consiglio federale decida di spiegare all’Ue che non può ancora parafare l’accordo perché occorrono nuove discussioni, e che questi negoziati è meglio farli dopo la votazione sull’iniziativa popolare dell’Udc contro la libera circolazione delle persone.


Ma pensa che l’Ue possa accettare questa richiesta da parte svizzera?
Staremo a vedere. Il problema è che l’Unione europea ha già annunciato che prenderà misure di rappresaglia. Però l’Ue deve fare attenzione a come reagisce nel suo proprio interesse. I nostri rappresentanti Pierre-
Yves Maillard e Andreas Rieger hanno già iniziato, parlando di recente al congresso della Ces con i principali dirigenti sindacali europei, ad avvertire che se l’Ue reagisce troppo negativamente porterà acqua al mulino dell’Udc e alla sua iniziativa sulla soppressione della libera circolazione, che andrà in votazione nel 2020. Un sì popolare porterebbe alla fine degli accordi bilaterali (per via della clausola “ghigliottina”): questo ucciderebbe definitivamente l’accordo quadro e sarebbe molto problematico anche per l’Ue, non solo per noi. Questo messaggio dovrà essere fatto passare in Europa non solo dai sindacati, ma anche dal padronato e dal governo.


Quanto influirà la scelta del nuovo presidente della Commissione europea su tale questione?
Avrà una certa influenza. Penso che le dinamiche che seguiranno non dipenderanno solo dalle persone. Bisognerà vedere come andrà a finire con la Brexit. Ma l’Ue non ha interesse a spingere la Svizzera sulla via di una “Swissexit”. È una questione oggettiva: a un certo punto l’Ue dovrà pur trovare una politica di dialogo nei confronti nostri. È chiaro che il successore di Jean-Claude Juncker non porterà tutte le frustrazioni personali dovute all’essere stato deluso dai consiglieri federali che hanno fatto promesse che non potevano mantenere. Restano però interessi obiettivi divergenti: si tratterà quindi di vedere come arrivare a una soluzione.

Pubblicato il 

04.06.19
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