Sebbene l'avvicinarsi dei Giochi Olimpici stia veicolando l'attenzione internazionale entro i confini cinesi, per conoscere meglio le prospettive globali di Pechino dobbiamo spostarci in Africa. È qui che da anni si svolge un match serrato tra Cina e Stati Uniti, impegnate a contendersi lo scettro di maggiore potenza mondiale. A trasformare l'Africa da continente-oggetto in scacchiere geopolitico fondamentale, concorrono tre fattori più uno: il peso esercitato nel protocollo energetico delle due superpotenze; la guerra al terrorismo, in particolare di matrice islamica che trova qui crescente spazio vitale; il progressivo allontanamento dell'Africa dall'inerzia post-coloniale, con diversi Paesi intenzionati ad emergere a livello regionale e addirittura globale, come nel caso del Sudafrica. Più di recente, si è aggiunta la necessità per Pechino di accaparrarsi nuovi terreni coltivabili e intensificare l'importazione di prodotti agricoli, necessari per preservare la sicurezza alimentare, mai come ora in pericolo.

Il bisogno di materie prime

In questo scenario, il Dragone è riuscito a giocare bene le proprie carte, prevalendo in molti casi sul potente rivale occidentale. L'escalation è iniziata nel 1996, quando la Cnpc, gigante pertrolifero cinese, stipulò i primi accordi con il Sudan – che attualmente esporta in Cina il 50 per cento del suo greggio –, sfruttando l'allontanamento dei Paesi occidentali a seguito delle sanzioni Usa contro il regime di Khartum. In breve, gli interessi di Pechino si sono estesi a gas, diamanti, oro, platino, rame, ferro, legnami e altre materie prime, necessarie per sostenere il fabbisogno di risorse dell'inarrestabile macchina produttiva cinese. Ancora pochi anni, e la superpotenza asiatica si è trasformata nel più vorace "cliente" di 50 Paesi africani, modificando drasticamente anche le prospettive future di governi e dittature, disposte ad assecondarne la politica.

Strategia di scambi bilaterali

Per facilitare l'accesso alle risorse del Continente Nero, Pechino sta usando diversi stratagemmi, come i sostanziosi prestiti concessi a governi e regimi africani, disinteressandosi poi a cosa e dove vengano destinati. Una scelta criticata soprattutto da Europa e Stati Uniti, convinti che questo possa inibire lo sviluppo dell'Africa, gravandola di un nuovo e insostenibile debito pubblico. Opposta la versione del Dragone, che difende le proprie scelte spiegando come il vero timore dei Paesi occidentali sia in realtà quello di non poter più riscuotere i crediti e di veder diminuire il proprio peso nel Sud del mondo. Secondo Pechino, gran parte dei prestiti concessi andrebbe a finanziare la costruzione di infrastrutture, fattorie, stadi, centri congressi, ospedali e scuole, favorendo così lo sviluppo e l'accesso a nuove tecnologie. Va da se che gran parte delle strumentazioni e dei materiali giungano proprio dalla Cina, assieme alle ditte incaricate di eseguire le opere, privando così le aziende africane di importanti contratti di lavoro, ed inibendo anche la crescita professionale degli operai africani, relegati a funzione di mera manovalanza. Poco importa poi, se buona parte dei capitali vengono spesi per l'acquisto di armi, meglio se Made in China, usate per preservare il potere di regimi leali a Pechino.

Appoggio politico internazionale

A rendere irresistibile il "pacchetto" offerto da Pechino – e a differenziare la strategia cinese da quella occidentale di taglio "colonialista" –, è la garanzia di ricevere copertura nel corso delle assemblee del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. È accaduto lo scorso anno, quando il delegato cinese ha fatto in modo di proteggere il potere del sudanese al-Bashir, responsabile dei terribili massacri in Darfur. Scene simili qualche settimana fa, quando la Cina ha fatto valere il proprio diritto di veto per benedire il ballottaggio che ha ribaltato le elezioni politiche in Zimbawe, confermando per il 28esimo anno consecutivo al potere il regime di Mugabe.

Meglio l'instabilità politica

Se da un lato l'Onu e le potenze occidentali soffrono lo strapotere di Pechino, alcuni segnali di insofferenza giungono proprio dall'Africa. Il caso più eclatante si è verificato lo scorso aprile, alla vigilia delle elezioni in Zimbawe, quando un carico di armi cinesi che avrebbe dovuto attraccare in Sudafrica fu respinto a causa della mobilitazione del sindacato degli scaricatori di porto. Il cargo "An Yue Jiang" di proprietà della Cosco di Pechino – contenente 3 milioni di munizioni per fucili d'assalto Ak 47, 1'500 granate per lanciarazzi e 600 fusti di mortaio con 3 mila proiettili – tentò invano altri attracchi, fino a rientrare in patria. Sebbene si ritenga che le armi siano comunque arrivate al destinatario (l'esercito di Mugabe), il segnale giunto dal Sudafrica è alquanto indicativo. Da un lato, dimostra come i Paesi africani meglio strutturati desiderino ridimensionare l'influenza cinese in Africa, dall'altro, testimonia la necessità per Pechino di puntare sui Paesi meno stabili bisognosi di un amico potente, per continuare a spuntare condizioni favorevoli, in cambio di armi e, ovviamente, di appoggio internazionale. 

La sicurezza alimentare

Dopo l'allarme scattato ad inizio 2008, quando India, Thailandia e Vietnam imposero il contingentamento delle loro esportazioni di riso, Pechino ha deciso di velocizzare la caccia a nuovi terreni coltivabili, necessari per assicurarsi sufficienti scorte alimentari per il futuro. Sebbene il Dragone sia il primo produttore mondiale di grano, riso, patate e beni ortofrutticoli, basta prendere in rassegna alcuni dati per farsi un'idea del problema: in Cina vive il 20 per cento della popolazione mondiale, ma il Paese dispone appena del 9 per cento delle terre coltivabili; ha l'8 per cento delle riserve idriche; il boom economico e il conseguente benessere ha proiettato in alto i consumi di carne pro capite, più che raddoppiati dal 1985 ad oggi, provocando l'inevitabile innalzamento dei prezzi e crescenti difficoltà di allevamento. Incapace di rendersi autonoma, la Cina deve correre ai ripari, e puntare in fretta sulla sicurezza alimentare, prima che la spirale speculativa ormai in atto porti ad un eccessivo rialzo dei prezzi creando pericolose dipendenze per il Regno di Mezzo. Per rimediare, Pechino sta spronando le grandi società agro-alimentari all'acquisizione di terreni coltivabili in tutto il mondo, garantendo anche in questo caso pieno sostegno finanziario e diplomatico per superare le resistenze dei governi stranieri.

Pubblicato il 

11.07.08

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