Uno dei mali della nostra provincia (ma esiste ancora la provincia? esiste ancora il centro? non è tutto periferia?) è la perdita della memoria. O meglio. Si sa tutto del vicino di casa, si pettegola sul contingente ma si dimentica l'essenziale. Si dimentica la storia del paese con i problemi che ci ha lasciato in eredità e si preferisce buttarsi sulle beghe paesane: è nota la litigiosità dei ticinesi, diventata luogo comune. Uno dei pregi del libro (*) che raccoglie una scelta di scritti di Tita Carloni apparsi su questo giornale, è quello di ricordare al lettore che cosa significa vivere con consapevolezza nel Canton Ticino. Conoscere il territorio, le sue bellezze, le sue insidie.
Il panorama è preciso e spietato, scritto in una prosa senza enfasi, vivace, talvolta divertita. Lo scrittore conosce tutto del nostro paese, perché gli vuole bene. Cioè, vuole il suo bene. E per questo lancia sottili strali che colpiscono sempre il bersaglio: può essere la cacofonia estetica, la mania del massimo profitto e dello sviluppo senza limiti, lo spazio pubblico ridotto a spazio del consumo, la città malata (ecco il significato di Pathopolis). Ma i suoi non sono strali velenosi. Strali sconsolati, direi. Tita Carloni è un illuminista che sorride malinconicamente sulle nostre miserie. E rivela, in queste prose brevi, una fresca vena narrativa, come nel finale di "Brutte storie di lago", per limitarmi a un esempio. La sua mano è leggera e, insieme, incisiva. Come "architetto di condotta" – così si autodefinisce – rispetta l'ambiente e le leggi dell'estetica, perseguendo un delicato equilibrio tra conservazione e innovazione; come scrittore occasionale misura le parole senza mai impedirsi di toccare i punti dolenti che riguardano la collettività. È pungente senza essere aggressivo. Il tratto affabile dei disegni che illustrano il libro si manifesta anche nello stile: Tita sa evitare le metafore scontate, la sciatteria o l'esibizione. Un po' come nelle sue opere di architettura. La sua prosa è un'acqua fresca che scorre senza fretta.
Due aggettivi ricorrono nei suoi scritti: umile e tremendo. Quasi un ossimoro. Fra questi due termini si svolge la rassegna delle varie sfaccettature cantonticinesi (uso questo termine in memoria di Virgilio Gilardoni, l'amico di Tita che i ticinesi stanno dimenticando).
Potrei estrapolare tante frasi da questo aureo libretto rosso. Mi limito a una. Parlando delle rive del lago di Como – poiché il suo sguardo si spinge naturalmente oltre i confini geografici – l'autore dice: «L'antico è morto e il nuovo cresce male e a dismisura».

*Tita Carloni, Pathopolis,  Riflessioni critiche di un architetto sulla città e il territorio, Casagrande, Bellinzona 2011.

Pubblicato il 

23.12.11

Edizione cartacea

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