Tra i bravi pittori della provincia svizzera e italiana (con solidi rapporti con Milano) figura Massimo Cavalli, del quale c’è in questo momento una grande mostra nel Museo cantonale d’arte di Lugano. Vi sono esposti molti lavori ad olio, grandi acquerelli, disegni, ed un numero elevato di incisioni. Cavalli padroneggia in modo esemplare tutte le tecniche della pittura. Nato nel 1930 ha dipinto quadri di grande qualità già nella seconda metà degli anni ’50; con fiori, rocce, sterpi, boschi, stagioni, struttura e trame ritmiche quasi sempre legate al mondo naturale, mai al mondo meccanico. Si direbbe che la sua ispirazione pittorica trovi il fondamento in un grande paesaggio formicolante di strutture viventi, di immagini accennate, con lampi di luce e ombre di grande efficacia pittorica. I colori sono in generale molto belli: da quelli della terra, ai verdi, ai bruni, agli arancioni, ai viola, agli azzurri preziosi. Il pensiero non può non correre al paesaggio com’era prima del suo imbruttimento ad opera nostra, con tutti i nostri eccessi tecnologici, i nostri rifiuti (che nella pittura di Cavalli non esistono) e i nostri interventi violenti. La pittura si manifesta come un appello al bello, al sensibile, a tutto ciò che non è volgare. Il paragone potrà sembrare strano ma mi viene in mente il grande pittore italiano Giorgio Morandi (1890-1964) che passò tutta una vita in una casa modesta nei dintorni di Bologna dipingendo bottiglie, barattoli e piccoli paesaggi a prima vista insignificanti. Fuori passarono il fascismo, la guerra, la ricostruzione selvaggia e la pittura di Morandi rimase come la testimonianza imperterrita che ci può essere un mondo diverso, fatto di cose umili elevate a grandissima poesia e dignità. Uscendo dalla bella mostra di Massimo Cavalli sono stato accolto sul lungolago di Lugano dagli ammiccamenti sui cartelloni pubblicitari della coppia Christo e Jeanne-Claude, le cui opere sono esposte (si fa per dire) nel Museo d’arte moderna della Malpensata. Christo Javacheff, cittadino americano di origine bulgara, nato a Gabrovo nel 1935, è noto in tutto il mondo per i suoi impacchettamenti con fogli di plastica di grandi manufatti ed edifici, come il Pont-neuf a Parigi impacchettato nel 1985. Christo fece parte negli anni ’60 di una corrente chiamata del Nuovo realismo, che assunse nel campo dell’arte tutti i materiali ed i rifiuti della produzione industriale moderna (plastica, laminati, vernici). In seguito, a partire dagli anni ottanta, prese parte al movimento americano della cosiddetta Land-art, alla lettera arte nel paesaggio e nel territorio. Gli artisti di questo movimento usano grandi strutture o spazi esistenti nel territorio trasformandoli con interventi artificiali. Per esempio un land-artista assai noto, Michael Heizer ha tracciato enormi cerchi nella sabbia del deserto del Nevada facendo continuamente grandi giri con la sua motocicletta. Mi ha sempre sorpreso il fatto che questi artisti si appellino alla natura ed al paesaggio, indicandoli come luoghi privilegiati del loro operare artistico, quando di fatto la natura la alterano modificandola artificialmente. Sarò un incorreggibile conservatore ma confesso che preferisco il pittore che osserva con grande rispetto i fiori, le erbe, le pietre, i paesaggi, ne porta con sé il ricordo e poi ne traduce a modo suo la memoria su un quadrato di carta o su una grande tela, due, tre, quattro metri a dir tanto. Tornando a Christo non posso evitare (ma senza alcuna malevola intenzione) alcuni ricordi degli anni ’70 e ’80 quando insegnavo a Ginevra. Ogni tanto si presentava un candidato o una candidata al diploma che esponeva intenzioni un po’ singolari per il proprio lavoro. (Allora c’era la libera scelta del tema, sempre che si trovasse un professore disposto ad accettarlo). Tra quei candidati capitava ogni tanto qualcuno proveniente dai paesi dell’est ed era spesso una persona un po’ fissata con un’insistenza a prova delle più inflessibili resistenze degli insegnanti. Ti proponevano temi del tipo: Il più grande e polivalente teatro del mondo, su un terreno enorme situato da qualche parte alla periferia di Mosca o un impianto di coltivazione verticale di ortaggi, con vasche mobili sovrapposte, applicabili in tutti i paesi del globo o… l’Accademia di tutte le arti, di tutti gli stili di tutti i continenti. Insomma delle vere ossessioni. Quello che mi colpiva in questi casi era l’accanimento, la pazienza non scalfibile del candidato che faceva sì che alla fine qualcuno accettasse di seguire il lavoro pur di liberarsene. All’ossessione del tema seguiva poi l’ossessione degli incontri interminabili, della presentazione, degli inviti più o meno ufficiali. Ripeto, non si sospetti in me nessuna forma di pregiudizio rispetto ai lavori di Christo e Jeanne-Claude, ma nell’insistenza di richiamo publicitari e dei ripetuti madornali impacchettamenti non posso sottrarmi all’impressione di una certa ossessività cresciuta nell’ombra del clima artistico e burocratico opaco che pesava in quegli anni sull’est dell’Europa e che avevo nettamente anche se solo indirettamente percepito a Ginevra. Spero comunque che a nessuno venga l’idea di impacchettare qualche edificio o qualche ponte o qualche albero dalle nostre parti.

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12.05.06

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