Sarà scontro. È finita così la trattativa per il rinnovo della convenzione nazionale mantello dell'edilizia, giunta allo scadere dopo quattro anni di esistenza. Proprio quattro anni fa, la Società svizzera degli impresari costruttori capitanata da Werner Messmer tentò il colpaccio dando la disdetta del contratto. Mobilitazioni operaie e interventi del governo costrinsero Messmer e soci ha firmare il contratto. Oggi ci riprovano. Malgrado nell'edilizia si guadagni come non mai e gravi casi di abusi si registrano in tutto il paese. Secondo i sindacalisti, il vuoto contrattuale era la tappa finale della strategia della delegazione padronale di questi dieci mesi di negoziati.

«Alla riunione del 27 ottobre, il padronato propone un aumento dei salari minimi del 2,2 per cento. Noi avevamo chiesto il 4 per cento, ma la proposta padronale può trovare consenso. Solo cinque giorni dopo, alla riunione del 2 novembre, il padronato cambia idea e propone un aumento dell'uno per cento, naturalmente inaccettabile per noi». Questa frase spiega più di mille parole perché le trattative tra impresari costruttori e sindacati siano saltate. L'aumento dei salari minimi è solo un punto di una più ampia contrattazione, ma la frase di Dario Cadenazzi, membro della delegazione sindacale nelle trattative nazionali del rinnovo contrattuale, descrive bene lo smarrimento e la rabbia di fronte a questo modo di condurre le discussioni. L'impressione dei sindacalisti è che fin dall'inizio il padronato sia voluto arrivare alla rottura del dialogo, spingendo alle corde i sindacalisti con proposte inaccettabili. E così sarà scontro. Inevitabile, perché il movimento operaio meglio organizzato che nel corso della sua storia ha saputo conquistare diritti sanciti nel miglior contratto nazionale, non resterà con le mani in mano mentre il settore va a rotoli e i loro diritti saranno spazzati. Il 25 novembre ci sarà una giornata di mobilitazione nazionale, mentre in Ticino l'appuntamento è per il 2 dicembre. Tutto per scongiurare l'ipotesi di vuoto contrattuale, nel tentativo di riportare il padronato alla ragione. Con Dario Cadenazzi, responsabile edilizia Unia Ticino, analizziamo la situazione.
Dario Cadenazzi, davvero avete l'impressione che la delegazione padronale abbia fatto melina con l'obiettivo finale dello scontro?
La prima riunione si è tenuta a febbraio, quasi dieci mesi fa. Rileggendo quanto avvenuto nelle quindici seguenti trattative, emerge con chiarezza il disegno padronale: arrivare al vuoto contrattuale, scaricando le responsabilità ai sindacati.
Dopo l'imponente manifestazione degli edili del 24 settembre a Berna, qualcosa sembrava sbloccarsi…
In effetti, dopo la manifestazione a Berna, sembrava possibile intravvedere una conclusione. Invece nell'ultima trattativa, c'è stata una netta inversione di rotta dei rappresentanti padronali su temi sui quali solo cinque giorni prima avevano dimostrato un'apertura.
Proviamo a entrare nei dettagli. Su quali punti pareva esserci un'apertura prima dell'inversione di marcia?
Intemperie. Da tempo gli operai chiedono norme chiare contro il lavoro sotto neve e pioggia. Con l'aumento dei ritmi di lavoro, la pressione affinché lavorino sotto l'acqua è cresciuta notevolmente. I cambiamenti legali permettono di trovare una soluzione. La nuova legge riduce da due a uno il giorno a carico delle aziende in caso di sospensione prolungata dei lavori a causa delle intemperie. Per le imprese è un bel risparmio. Noi proponiamo di creare un fondo per coprire la giornata rimanente. Un fondo alimentato da lavoratori e imprese in maniera non paritaria, in ragione dei soldi risparmiati dalle imprese con la riduzione a un solo giorno di carenza. Il 27 ottobre il padronato si dice d'accordo. Il 2 novembre no. Lo stesso avviene coi salari minimi, fermi da due anni. Noi proponiamo il 4 per cento di aumento, il padronato risponde col 2,2 per cento. Una proposta che non soddisfa pienamente, ma su cui si può ragionare. Questo durante la riunione del 27 ottobre. Cinque giorni dopo, la delegazione padronale si rimangia la sua proposta e dichiara di non voler concedere più dell'uno per cento.
Il quadro sembra chiaro: proporre cose inaccettabili per costringere al rifiuto. Ma cosa ha da guadagnare il padronato dal vuoto contrattuale?
Poco. Certo, potranno impostare il mercato del lavoro su una totale deregolamentazione, favorendo soprattutto le grandi aziende. In Ticino hanno veramente da perdere perché senza contratto la situazione diventa insostenibile. Il contesto è già grave. Lo dicono gli impresari stessi. Senza il contratto, sarebbe il colpo di grazia. Il padronato non ha capito, o finge di non voler capire, che se i lavoratori sono tutelati e ben informati sui loro diritti, le stesse imprese dispongono di un argine che impedisca derive nel settore che li danneggino. Il dramma è che la dirigenza di Messmer preferisce farne invece una questione ideologica e andare all'attacco dei diritti dei lavoratori.
Sui continui scandali di abusi e stipendi da fame nell'edilizia nazionale, i vertici della Ssic hanno dimostrato di voler intervenire congiuntamente?
Secondo loro si tratta di casi isolati di criminali che vanno puniti. Rifiutano d'interrogarsi su chi abbia chiamato questi criminali, chi siano i loro mandanti e quale logica abbia generato queste gravi derive. Noi proponiamo la responsabilità solidale, ossia che ha pagare i danni sia anche chi ha affidato i lavori agli sciacalli senza verificarne l'operato.
A settembre la Ssic aveva proposto di prolungare il contratto senza modifiche per un anno, ritenendo che non ci fosse più il tempo necessario per trovare un accordo definitivo...
Inaccettabile. Non è possibile condurre delle trattative per dieci mesi con l'unico scopo di rinviarle ancora. È un modo profondamente disonesto di condurre un negoziato. Se ogni volta sul rinnovo contrattuale pesa come una spada di Dàmocle il semplice prolungo, difficilmente si possono ottenere dei risultati. Il rischio è che questo metodo diventi il modus operandi di ogni rinnovo di un contratto, che ricordo, scade ogni 4 anni. Abbiamo già negoziato per diversi mesi, adesso c'è bisogno di un nuovo contratto con gli adeguamenti dovuti, non di un prolungamento degli attuali problemi.
Quattro anni fa quando la Ssic diede la disdetta del contratto, s'ipotizzò che la dirigenza padronale fosse spinta da interessi più politici che di categoria. In sostanza, s'ipotizzava che si volesse far saltare il miglior contratto nazionale per dare una lezione ai sindacati e indebolire le condizioni di lavoro di tutti i salariati in Svizzera. È una chiave di lettura valida anche in questo caso?
Sì, direi di più. Già nel 2005 con la proposta padronale del contratto light, c'era un chiaro disegno di voler colpire il miglior contratto nazionale. Nel 2007 si è ripetuta l'operazione e oggi si ripresenta nuovamente. Che ci sia una matrice ideologica mi pare lampante. Ma se il termine della discussione diventa questo, non siamo più di fronte a un padronato che vuole come parte contraente aumentare i propri profitti, ma agisce in nome di altri interessi prettamente ideologici.
Da quando è partita l'offensiva per smantellare il contratto, alla testa della Ssic ci sono sempre le stesse persone, il presidente Werner Messmer e il direttore Daniel Lehmann. È un problema di persone o sono tutti gli impresari costruttori che vogliono indebolire i diritti dei lavoratori?
Non ho una risposta certa. È sicuro che questa delegazione padronale ha un'impostazione ideologica molto chiara, dettata dalle grandi imprese. Uno dei drammi dello stile di trattativa della Ssic, sembra essere lo scollamento che hanno con la loro base. Vorrei sapere quanto la base degli imprenditori conosce il pacchetto rivendicativo padronale e quello sindacale. Dai nostri contatti con gli imprenditori, sappiamo per certo che non sono mai stati consultati con cognizione di causa. Unia ha invece costruito il suo pacchetto rivendicativo partendo dalla base e sottoponendolo a votazione consultativa a 20mila lavoratori. Non ci risulta che la Ssic abbia fatto qualcosa di simile.
Gli scenari futuri?
La risposta immediata sarà la mobilitazione. Il 4 luglio scorso i muratori hanno suonato il campanello d'allarme con una grande manifestazione a Lugano. Il 2 dicembre saremo invece a Bellinzona a esprimere la rabbia contro questa scelta padronale irresponsabile. Gli scenari successivi saranno molteplici. Sono convinto che si dovrà tornare a discutere con la controparte. Ora però il dialogo è impensabile. Non escludiamo neppure scenari di lotta di lunga durata. Se dal prossimo anno ci sarà il vuoto contrattuale, cadrà il rispetto della pace del lavoro. Con tutte le conseguenze del caso.

Pubblicato il 

11.11.11

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