Mentre in passato erano solo alcune formazioni politiche minori a farsi interpreti all'interno del parlamento dei sentimenti xenofobi e razzisti, oggi ci sono tre partiti di governo su quattro a portare avanti questi discorsi: i postulati avanzati a partire dagli anni Novanta inizialmente quasi in solitaria dall'Unione democratica di centro (Udc) di Christoph Blocher sono ormai stati recepiti in pieno anche dal Ppd e dal Plr.

I due cosiddetti partiti di centro in vista delle elezioni federali del prossimo 23 ottobre hanno ulteriormente "affinato" i loro programmi in materia di politica migratoria rafforzando l'elemento della discriminazione di alcune categorie di stranieri, peraltro già fortemente presente nelle leggi in vigore, tra le più restrittive d'Europa. L'ultimo in ordine di tempo a essersi cimentato in questo esercizio è il Partito liberale radicale (Plr), che proprio due settimane fa ha approvato un documento programmatico con una serie di misure volte a frenare l'immigrazione da paesi non europei. Un documento concepito «per amore della Svizzera» (come recita lo slogan elettorale del partito) che prevede in particolare misure per limitare il diritto dei lavoratori stranieri di portare in Svizzera non solo le loro braccia ma anche i loro affetti e dunque le loro famiglie.
Il testo, giudicato «eticamente riprovevole» da una minoranza del partito, è stato elaborato dal consigliere nazionale argoviese Philipp Müller, la cui storia personale è l'emblema perfetto del fenomeno di contaminazione di stampo xenofobo e razzista che ha travolto anche un partito che, almeno nel nome, continua a dirsi "liberale". Al pari naturalmente del Ppd dalle radici "cristiane", che a sua volta meno di un anno fa ha postulato un nuovo giro di vite nell'ambito della politica d'asilo e degli stranieri.
Il 59enne Müller è infatti uno che da una quindicina d'anni dedica tutto il suo impegno politico alla battaglia contro la presenza di stranieri in Svizzera. A partire da quella per limitarla al diciotto per cento della popolazione, che portò avanti nella seconda metà degli anni Novanta attraverso il lancio di un'iniziativa popolare, poi respinta in votazione nel settembre 2000 con un 64 per cento di no. Un'iniziativa che venne sostenuta dalla sola Udc (e nemmeno in modo compatto), da alcuni partitini della destra xenofoba (Democratici Svizzeri, Partito degli automobilisti) e dalla Lega dei Ticinesi. Per rendersi conto di quanto (solo dieci anni fa) simili posizioni sulla politica migratoria fossero marginali all'interno del Parlamento federale, basta ricordare che quell'iniziativa venne bocciata all'unanimità dal Consiglio degli Stati e in Consiglio nazionale ottenne solo 14 voti favorevoli (pari a meno della metà dei 29 parlamentari che contava allora il gruppo Udc).
Per denunciare una presunta «politica degli stranieri lassista» del Consiglio federale a fronte di un «problema migratorio acuto» e per affermare la necessità di «una svolta» per impedire che la Svizzera continuasse a essere un «paese d'immigrazione», Philipp Müller doveva ancora chiedere ospitalità al periodico reazionario Schweizerzeit. Un periodico fondato nel 1979, che, ricordiamo per inciso, nei primi anni Ottanta si distinse per la pubblicazione di numerosi articoli in sostegno del regime razzista dell'apartheid in Sudafrica e in seguito per aver ospitato numerosi scritti di Jürgen Graf, negazionista dell'Olocausto. Diretto dal consigliere nazionale Udc Ulrich Schlüer, padre dell'iniziativa contro i minareti, è considerata un pubblicazione «islamofobica e razzista» dalla Fondazione svizzera contro il razzismo e l'antisemitismo.
Non sorprende dunque che tra le "prestigiose" firme figurasse anche quella di colui che voleva cacciare dalla Svizzera centinaia di migliaia persone per contrastare il cosiddetto "inforestierimento" (vedi riquadro) e proseguire così l'opera dell'ex consigliere nazionale James Schwarzenbach, leader del movimento xenofobo in Svizzera negli anni Sessanta e Settanta e promotore di un'iniziativa popolare (respinta di misura nel 1970) che mirava a limitare il numero di lavoratori stranieri in Svizzera al dieci per cento della popolazione e che era diretta essenzialmente contro gli italiani. Lo stesso Müller in un articolo sulla sua iniziativa del diciotto per cento apparso su Schweizerzeit del 21 luglio 2000 fa esplicito riferimento all'iniziativa Schwarzenbach e alla «promessa  non mantenuta del Consiglio federale», che all'epoca «aveva espresso  la volontà di stabilizzare progressivamente la popolazione straniera in Svizzera».
Del resto, questa rivendicazione torna (in varie forme) in ogni azione politica del consigliere nazionale argoviese, che negli ultimi anni, oltre ad aver contribuito in prima persona ad inasprire la legislazione in materia di stranieri e asilo, ha depositato decine di atti parlamentari in favore di una riduzione dell'immigrazione da stati extra europei. In particolare attraverso un'ulteriore limitazione dei ricongiungimenti familiari da realizzarsi addirittura con il ricorso sistematico a test genetici.
Esattamente quello che recita il nuovo programma elettorale del Partito liberale radicale, a cui, oggi, sta bene di avere come ideologo  un "erede" di James Schwarzenbach.


L'imbarazzo dei veri liberali

«Lo spirito radicale d'ispirazione umanista e rispettoso dei diritti delle persone ne è uscito parecchio scalfito». Così il senatore ticinese Plr Dick Marty ha commentato l'approvazione del controverso documento sulla politica migratoria da parte dei delegati del suo partito lo scorso 12 febbraio. Un documento «che considera lo straniero come nocivo, salvo quando è utile dal punto di vista economico. E dunque bisogna fare di tutto per limitarne l'ingresso in Svizzera», accusano lo stesso Marty e alcuni esponenti liberali romandi in una presa di posizione con cui si chiedeva di evitare una simile «deriva populista» alla rincorsa dell'Udc. Ma le cose, come era prevedibile, sono andate altrimenti e il documento elaborato dal consigliere nazionale Philipp Müller è stato approvato a larga maggioranza.
Tra le persone dispiaciute per questa decisione c'è anche il professore e storico basilese Georg Kreis, presidente della Commissione federale contro il razzismo (Cfr). Anche se non è in questa veste, ma in quella di «cittadino e di membro del Partito liberale radicale» (Plr) che accetta di esprimere alcune considerazioni sul contestato documento. Anche perché, spiega, «la politica migratoria non rientra nelle competenze della Commissione, che si occupa del fenomeno della discriminazione razziale».
«Certo – aggiunge – si potrebbe discutere se alcune formulazioni nel documento possano contribuire alla diffusione di sentimenti razzisti nella società o se altre lascino trasparire i pensieri reconditi del signor Müller, ma non credo sia questa la giusta chiave di lettura. Il problema vero è che il Plr distingue tra migranti utili e utilizzabili per l'economia e quelli che non lo sono e afferma di volere solo i primi. È questa spietata, brutale tendenza alla massimizzazione dei propri interessi presunti a turbare maggiormente».
Particolarmente vistoso è il contrasto con una realtà ben descritta dalla celebre affermazione, fatta da Max Frisch negli anni Sessanta, "Volevamo braccia, sono arrivati uomini": «Quando arrivano uomini ci sono anche le famiglie e dunque mettere in discussione il diritto al ricongiungimento familiare è assai problematico oltre che lesivo dei diritti dell'uomo», commenta il professor Kreis. Visto oltretutto che già la Legge sugli stranieri in vigore prevede criteri severi per consentire a un lavoratore straniero non europeo di farsi raggiungere in Svizzera dalla famiglia: per esempio, i figli di uno straniero domiciliato ottengono un permesso di soggiorno di durata illimitata solo se hanno meno di 14 anni. «La fissazione di un'età limite – spiega Kreis – è sensata se favorisce un ricongiungimento il più presto possibile e dunque aiuta all'integrazione del giovane, ma non se come obiettivo ha quello di impedire a una persona che giunge in Svizzera per lavorare di portarsi con sé un figlio sedicenne». «La forza lavoro destinata a rimanere a lungo in Svizzera e qui a integrarsi deve avere il diritto alla famiglia. Ogni soluzione diversa, oltre a essere disumana, penalizza il tanto sbandierato processo d'integrazione».
Integrazione che pure è oggetto del documento del Plr, in cui si chiede una legge quadro specifica e si afferma che chiunque voglia vivere in Svizzera deve avere la volontà di integrarsi: «Il problema è che si tende a considerare questo processo unilateralmente e senza stabilire alcun dovere per la società del paese di accoglienza», fa notare il professor Kreis. «Un po' come succede sulla questione dell'uguaglianza delle donne, che viene spesso presentata come un problema legato specialmente all'immigrazione quando in realtà è un problema anche tra confederati, almeno fintanto che la Svizzera non sarà per esempio in grado di garantire la parità salariale».
«Questi sono i modelli proposti da molti anni dall'Udc che alimentano l'avversione nei confronti degli stranieri e che oggi fanno breccia anche nel Plr, ormai sempre più chiaramente schierato sul fronte della destra nazionalista e populista (come conferma il brutto slogan scelto per la campagna elettorale di ottobre "per amore della Svizzera"). Un partito – conclude Kreis – di cui sono ancora membro, anche se non so per quanto tempo questo mi sarà ancora possibile».    
 
L'inforestierimento, storia di un'idea

La nozione di inforestierimento (Überfremdung in tedesco) ha dominato il dibattito politico svizzero tra gli anni Sessanta e Settanta. Utilizzata inizialmente dall'amministrazione federale, la tematica è stata poi abilmente ripresa da alcuni politici populisti per canalizzare le paure di quella parte della popolazione svizzera rimasta ai margini e solo sfiorata dal boom economico del dopo guerra. L'idea diffusa era che l'istallazione massiccia in Svizzera di lavoratori immigrati rappresentasse una pericolosa minaccia per "l'identità svizzera", che rischiava di alterarsi o, addirittura, di scomparire del tutto.
Nel 1961 venne fondata a Zurigo l'Azione nazionale contro l'opera straniera del popolo e della patria, diretta principalmente contro gli immigrati italiani. Questo movimento xenofobo ha conosciuto un primo apice nel 1970, quando venne presentata una prima iniziativa popolare (Iniziativa Schwarzenbach) che esigeva una limitazione della popolazione straniera al 10 per cento di quella totale. Essa fu respinta, come altre quattro simili votate nei trent'anni successivi, ma ha sicuramente contribuito ad alimentare nel paese il timore di inforestierimento fino a far diventare questa idea parte integrante della politica federale. In effetti, nel 1970, qualche mese prima della votazione, il Consiglio federale introdusse il principio di una gestione annuale del numero dei lavoratori immigrati che divenne il fil rouge della politica d'immigrazione, dal sistema dei contingenti a quello "dei tre cerchi" negli anni '90, rimpiazzato recentemente da un sistema d'ammissione che distingue i rifugiati provenienti dall'Europa da quelli del resto del mondo.


Pubblicato il 

25.02.11

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