A briglie sciolte

Sono oramai quasi 60 anni che gli Stati Uniti cercano con un blocco economico asfissiante di affamare Cuba, sperando di rendere le condizioni di vita dei cubani così miserabili da spingerli a rivoltarsi e ad abbattere il governo socialista. In questi 60 anni ci sono stati momenti dove la tensione è stata altissima: non solo durante la crisi dei missili o per la tragicomica invasione della Baia dei Porci, ma anche a seguito dei continui attentati terroristici, perpetrati soprattutto dai mafiosi cubani domiciliati all’Avana, spesso con la benedizione delle autorità di Washington.

 

Quest’asfissiante blocco economico ha causato danni a Cuba per centinaia di miliardi di dollari: questo scenario di fondo non va mai dimenticato e va ricordato a coloro che, con giudizi molto superficiali, criticano il governo cubano per “non rispettare le regole democratiche”. Nessuno di loro è mai stato capace però di spiegarmi come ciò dovrebbe essere possibile in una situazione di “guerra fredda ad alta tensione”, molto peggiore di quella vissuta dalla Svizzera durante la seconda guerra mondiale, quando anche da noi i diritti democratici erano stati molto limitati.


Soltanto durante la presidenza di Jimmy Carter e il periodo di Obama ci fu un allentamento della tensione, sino ad arrivare alle aperture qualche anno fa, quando appunto Obama permise perlomeno agli americani di viaggiare a Cuba e aumentò notevolmente gli importi che i cubani residenti negli Usa potevano versare ai loro parenti sull’isola. Ma il blocco economico non fu mai tolto: sin dall’inizio della sua presidenza, Donald Trump ha costantemente indurito questo blocco, dapprima abolendo tutte le concessioni fatte da Obama e in seguito rendendo via via più draconiane le misure coercitive. Non solo Trump ha fatto applicare per la prima volta la legge che permette agli Stati Uniti di punire qualsiasi ditta e qualsiasi persona in ogni parte del mondo che intrattenga legami economici con Cuba, ma ha ora drasticamente ridotto le possibilità di versamento dei cubani domiciliati negli Stati Uniti, ha reso impossibile ogni viaggio verso l’isola e soprattutto con varie misure sta ora bloccando il trasporto di prodotti petroliferi dal Venezuela a Cuba. L’idea stessa che ci sia un governo socialista a poche miglia dai suoi campi da golf in Florida rende Trump furioso e deciso a farla finita una volta per tutte con quest’isola disubbidiente. Sul posto la benzina inizia a scarseggiare e così certe derrate alimentari, che Cuba compra all’estero. La situazione comincia a ricordare quella del “período especial”, che fece seguito al crollo dell’Unione Sovietica, quando essendosi il Pil cubano quasi dimezzato, sull’isola si arrivò alla fame.


Dopo le grandi banche e la maggior parte delle banche cantonali, ora anche Postfinance ha deciso di non più permettere trasferimenti di fondi verso Cuba: il nostro governo, come ha già fatto con il Venezuela, ancora una volta si inchina quindi di fronte agli ultimatum di Washington. Personalmente non vorrei ritrovarmi, come capitato spesso nel passato, a dover nascondere decine di migliaia di dollari nella mia valigia, per poterli far arrivare all’Avana.

Pubblicato il 

25.09.19
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