La mobilitazione degli edili

Ancora una volta i numeri rendono meglio l’idea delle parole. Dopo le imponenti manifestazioni d’ottobre degli edili a Bellinzona e Ginevra, che hanno dato il via alle mobilitazioni regionali per il rinnovo contrattuale, l’indignazione operaia alla rivendicazioni padronali si è diffusa a macchia d’olio alle altre regioni del Paese.


Martedì 30 ottobre è stata la volta dei seicento dell’arco giurassiano che hanno sfilato per le vie di La Chaux-de-Fonds, dei cinquecento a Friburgo e infine dei quattrocento operai in Vallese. Complessivamente, si sono astenuti dal lavoro 1’500 lavoratori dell’edilizia. Fatto per nulla scontato, considerato che i cantieri e le imprese di queste regioni hanno dimensioni piuttosto modeste, dove il rapporto stretto col padrone d’impresa rende sovente il gesto di ribellione un passo difficile da compiere.


Il 4 novembre invece l’onda della protesta è arrivata nel Canton Vaud, un vero e proprio tsunami di oltre 4’000 edili che hanno disertato i cantieri per due giorni consecutivi. Un numero impressionante, calcolando che gli attivi nell’edilizia principale nel cantone ammontano a circa 6’300 operai. 7 muratori su 10 hanno dunque sfilato nelle vie della capitale Losanna quel giorno.


Numeri che hanno stupito lo stesso segretario sindacale di Unia Vaud, Pietro Carobbio: «Le nostre previsioni sono state superate da una partecipazione supplementare di oltre un migliaio di lavoratori». Sui motivi di questa adesione di massa alla giornata di mobilitazione, Carobbio non ha dubbi: «Gli operai sono molto arrabbiati. E non c’entra nemmeno il prepensionamento. A livello cantonale con la Ssic vodese abbiamo già trovato una valida soluzione per entrambe le parti. Gli operai sono arrabbiati per le proposte padronali. L’attacco frontale delle 50 ore settimanali, le trecento ore flessibili da aggiungere al lavoro già oggi pesante, e per di più, senza alcun aumento reale del potere d’acquisto, sono proposte che hanno fatto letteralmente infuriare gli operai».


Durante la seconda giornata di mobilitazione, una buona parte dei lavoratori dell’edilizia vodese hanno raggiunto con treni speciali i colleghi zurighesi. L’incontro tra i due cortei operai è avvenuto in una delle vie più lussuose del mondo intero, la celebre Bahnhofstrasse di Zurigo, «dove si susseguono caffè, boutique e gioiellerie senza soluzione di continuità» come scritto sul sito di Svizzera turismo.


Dopo il pranzo, il corteo unitario si è concluso sotto le finestre della sede centrale della società impresari costruttori. Questo venerdì 9 novembre è prevista una riunione tra padronato e sindacati. Ora la domanda è se la dirigenza della Ssic rivedrà le sue rivendicazioni, finora imposte come un unico pacchetto da «prendere o lasciare». Le imponenti manifestazioni di questi giorni avranno pur lasciato un segno. «A mio giudizio, – spiega Carobbio – la risposta data a partire dal 15 ottobre col Ticino e il seguito nel resto del Paese, credo sia la più importante mobilitazione avuta dalla fine della seconda guerra mondiale in Svizzera. gli operai sono determinati e disposti a mettersi in gioco. Questo è motivo d’ottimismo per il movimento sindacale nazionale, ma al contempo investe la dirigenza dell’organizzazione di una grande responsabilità. Meglio non avere un accordo e proseguire la lotta, piuttosto di firmare un brutto accordo».
Due sono i punti centrali su cui i muratori appaiono intransigenti. Il primo è la necessità di un aumento salariale significativo, diventato impellente dopo quattro anni di stipendi fermi al palo.


Ma al di là della questione finanziaria, a rendere particolarmente furiosi gli edili sono quelle trecento ore supplementari che andrebbero a pesare fortemente sul carico di lavoro giornaliero.


«A cosa serve avere conquistato il prepensionamento se ci arriviamo morti di fatica»? Sintetizza il pensiero della moltitudine Tiago, uno dei tanti muratori di origine portoghese presenti alla manifestazione zurighese.
Marudit Tagliaferri, responsabile del settore edilizia di Zurigo, spiega così la buona partecipazione dei muratori zurighesi. «La molla incredibile di questi giorni è stata la rivendicazione padronale di maggiore flessibilità, le famose trecento ore supplementari. La proposta padronale, oltre ad accrescere le ore supplementari già esistenti, mira a non retribuirle. E questo per i lavoratori dell’edilizia è inaccettabile».


“Senza muratori, nessuna casa, nessuna strada, nessuna scuola, nessun ospedale” diceva uno degli slogan dei cartelli del corteo.
Per quel che fanno, i muratori non chiedono chissà quali privilegi. I portoghesi e i muratori d’innumerevoli nazionalità, svizzera compresa, vorrebbero semplicemente del rispetto per il loro lavoro e il diritto a salvaguardare la salute. Si vedrà cosa succederà alle prossime trattative. Immancabile alle mobilitazioni di questi giorni, e altrettanto imprescindibile ai tavoli della trattativa, è Nico Lutz, responsabile di Unia del settore edilizia a livello nazionale. Gli chiediamo con quale spirito si siederà all’appuntamento di venerdì 9 novembre con il padronato. Di certo, lo affronterà con animo più sereno, dopo queste giornate d’importanti mobilitazioni.


«Direi proprio di sì. Oltre 15.000 lavoratori si sono astenuti dal lavoro e hanno manifestato nelle strade di molte regioni. Non vi è dubbio che sia una delle più grandi mobilitazioni operaie nella storia di questo Paese. E che esprime bene il malcontento degli operai alle proposte padronali».
Secondo lei, ora la dirigenza dell’associazione padronale cambierà attitudine? «Dopo la manifestazione di giugno a Zurigo, il padronato ha compreso che l’attacco al prepensionamento era inaccettabile per gli operai. Hanno dunque cambiato strategia, pensando che non toccando il prepensionamento e garantendo un aumento salariale, l’accordo si sarebbe facilmente trovato. Ma hanno sbagliato i calcoli, rivendicando una maggiore flessibilità con le 300 ore supplementari. Sono andati a colpire là dove fa più male ai muratori. Queste ore sono vissute dagli operai come un attacco alla loro salute. Gli edili sanno bene quanto sia irrealistico chiedergli di prolungargli ulteriormente le giornate lavorative. Semplicemente glielo dice il loro corpo, che più di tanto non si può spremere. Dopo le risposte operaie di questi giorni, credo che il padronato abbia capito che non è accettabile. Già oggi di flessibilità e di carico eccessivo lavorativo ce n’è troppo. Ora mi auguro si possano intavolare delle trattative serie nei prossimi appuntamenti».

Pubblicato il 

08.11.18
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